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L’Italia chiama e Mario Draghi risponde. Intanto con un editoriale sul più autorevole quotidiano economico mondiale con cui ha strigliato fortemente l’Europa e i suoi vertici e poi chissà. Le riflessioni che l’ex presidente della Banca centrale europea ha affidato al Financial Times non lasciano spazio a dubbi: quella che il mondo sta vivendo è una vera e propria guerra, sanitaria ma pure economica, per vincere la quale occorre mettere mano a tutte le misure possibili. In primis al debito pubblico perché – ha affermato Draghi – in questa fase così drammatica sono gli Stati e le istituzioni internazionali a doversi fare carico, in tutto o in parte, della perdita di reddito del settore privato.

Un’azione decisa da mettere in campo non tra qualche giorno ma subito, immediatamente, già a partire dall’Eurogruppo di oggi, senza lasciare spazio a quelli che l’ex governatore di Bankitalia ha definito nel suo intervento “bureaucratic delays“. Ritardi burocratici. Temporeggiamenti procedurali, tattici o politici che rischiano di lasciare sul terreno solo macerie. Parole che costituiscono una sorta di manifesto internazionale contro la crisi da coronavirus e che prefigurano un’autentica terapia d’urto cui sottoporre l’economia mondiale malata. Parole destinate a lasciare un’impronta profonda non solo in Italia e in Europa, come del resto a Draghi è già accaduto in passato.

Il 26 luglio del 2012 il suo celebre “whatever it takes“, che diede avvio al Quantitative easing e che salvò l’euro e l’Europa dalla crisi dei debiti sovrani. Quasi 8 anni dopo eccolo di nuovo, non più dall’Eurotower di Francoforte ma forte di un’autorevolezza internazionale che nel frattempo è ulteriormente cresciuta. E di cui, inevitabilmente, dovrà tenere conto pure chi in questa fase è chiamato a gestire la crisi a livello europeo: a partire dal suo successore alla guida della Bce, Christine Lagarde, per continuare con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Nel suo intervento Draghi non ha mai citato direttamente le istituzioni europee e i rispettivi titolari ma è chiaro che il suo monito sia diretto, innanzitutto, a loro. Fare tutto ciò che è necessario per tamponare l’emergenza vuol dire, ad esempio, ingranare la marcia su strumenti come gli eurobond, su cui al momento l’Europa ancora tentenna. O anche ipotizzare la possibilità di ricorrere al Mes – il Meccanismo europeo di stabilità – ma senza quelle condizioni capestro che ne renderebbero indigeribile l’utilizzo. E sulle quali si discute animatamente in Europa, con i Paesi del Nord guidati da Olanda e Germania contrari all’eliminazione delle clausole e quelli del Sud, Italia e Francia in testa, che spingono invece in questa direzione.

Frasi, quelle di Draghi, che d’altra parte rappresentano anche un messaggio nei confronti dei singoli Stati europei: di quelli che si ostinano a voler far prevalere la logica del rigore ma pure degli altri, che sono oggi sfidati dalle parole dell’ex presidente della Bce a muoversi con più decisione per ottenere tutto ciò che è necessario per contrastare la crisi. Inclusa l’Italia ovviamente, chiamata ad agire a Bruxelles – soprattutto con il premier Giuseppe Conte e con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri – con maggiore determinazione. Quella stessa determinazione mostrata da Draghi nel suo editoriale sul Financial Times che, inevitabilmente, è destinato a riaccendere il dibattito interno sulla possibile nascita di un governo di salute pubblica da lui presieduto. Non nell’immediato dell’emergenza sanitaria magari, ma subito dopo, quando si tratterà di ricostruire non solo dal punto di vista economico l’Italia e contemporaneamente anche l’intera architettura comunitaria.

“Il tempo è ora”, ha scritto l’ex presidente della Bce: “La velocità del deterioramento dei bilanci privati deve essere affrontata, come europei, nel sostenerci a vicenda nel perseguimento di quella che è evidentemente una causa comune”. L’Europa, se c’è, è chiamata finalmente a battere un colpo.

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