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La città è un tema che s’impone. E diventa di straordinaria attualità, nel futuro, per varie ragioni. Come gestiremo le relazioni sociali, nella paura che continuerà ad accompagnarci, dopo il distanziamento imposto ? Come governeremo lo scambio continuo e crescente dei mondi che popolano le nostre città sempre più meticcie ? Ancora, quale rapporto dovremo/potremo vivere con tecnologie che rendono le nostre città “smart” ?

Coesione

Qui cominciamo a discutere le risposte alle prime due domande. Non potremo, d’un tratto, eliminare le città-ghetto e immaginare paradisiache città-comunità. La dimensione del disagio e delle diseguaglianze continuerà a esistere, forse sarà crescente, e la città si troverà a fare i conti con le sue complessità. Le migrazioni (strutturali a causa dei disordini conflittuali, dei cambiamenti climatici, del fattore demografico, delle diseguaglianze), dal canto loro, contribuiscono e contribuiranno a fare dell’appartenenza alla città un dato (con)diviso: nessuno potrà dire “la mia città”, come se chi viene “da fuori” non avesse eguale diritto a vivere il contesto urbano tanto quanto la responsabilità (il dovere) della sua cura. L’impatto delle migrazioni ci porta nel mondo della città meticcia, città-laboratorio, città-tentativo, città-rischio. Qui la paura, per alcuni paradossalmente (ma non per noi), gioca un ruolo decisivo: solo se temiamo, e non ci culliamo nella pericolosa autoreferenzialità di certezze consolidate, possiamo rendere la città un luogo migliore, rendere evidenti – per trasformarli – i conflitti. Il tutto, naturalmente, va posto sul piano della progettualità, del confronto e del dialogo; se c’è una ineludibile dimensione dialettica, quella va ripensata alla luce di una paziente dialogalità come costruzione dinamica del “comune”.

È in gioco oggi, culturalmente/politicamente/socialmente, è ciò che chiamiamo coesione. Lo stare insieme va ripensato non più nella logica della parola integrazione ma in quella dell’interculturalità o, per fare un passo in avanti, della transculturalità.

Smart

E le tecnologie ? Rispetto all’innovazione, con evidente provincialismo intellettuale, siamo abituati a un dibattito pro o contro. È venuto il tempo di cambiare registro, utilizzando il pensiero critico e considerando le tecnologie uno strumento utile per certe cose e, al contempo, rischioso. Nessuna innovazione è neutra.

Per fare un esempio, la cosiddetta “science of where” può aiutarci a migliorare la conoscenza dei luoghi, porsi al servizio della resilienza dell’ambiente territoriale. E così tutte le altre innovazioni, laddove comprendiamo il loro ruolo di servizio al “comune”, ben sapendo i rischi del controllo e della sorveglianza.

Nella realtà-prospettiva di “città smart” siamo altresì convinti che il tema della comunità urbana non potrà essere risolto dalle tecnologie. C’è un fattore umano che comprende e supera il dato tecnologico. Quello occorre recuperare, utilizzando le tecnologie per migliorare le possibilità di conoscenza e di prossimità e per (re)immaginare, soprattutto dopo il tempo del “lockdown”, la città complessa.

 

(Professore di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University – Editor, The Global Eye, http://globaleye.online – autore di “La grande metamorfosi. Pensiero politico e innovazione”, Eurilink University Press 2020,  http://eurilink.it/prodotto/la-grande-metamorfosi-pensiero-politico-e-innovazione/)

La città complessa

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