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Tra gli atteggiamenti condivisi da molti italiani vi è quello di rimandare ad altri la soluzione di problemi che non riguardano strettamente la sfera personale. Sono gli altri che devono risolvere le questioni legate al convivere.

È la nostra cultura che è rimasta imbevuta di questo atteggiamento sin dal tempo delle clientele romane; dei feudi; dei principi; delle corporazioni fasciste; dello Stato moderno e dei grandi partiti di massa. Più recentemente, nella società fluida, ci affidiamo ancora una volta ad un messia, a quell’autorità che per non si sa quali meriti, dovrebbe garantirci una vita migliore.

Non abbiamo mai abbandonato la nostra dimensione tribale per preferirgli l’individualismo che anzi rifuggiamo impauriti considerandolo un tradimento della fratellanza che ci legherebbe all’interno di una comunità. Rinunciamo così a priori, alla responsabilità individuale, che è il bene più prezioso di cui disponiamo inconsapevolmente.

Da qui pure il continuo ricorso alla solidarietà che siamo riusciti ad inserire persino nella Costituzione italiana (Art. 2) e nelle clausole dei trattati europei.

Perché è importante credere nell’individuo? Invece di adoperarci per lavorare più duramente a superare i problemi, anche difficili, che ci stanno davanti, invochiamo l’aiuto fraterno degli altri membri della nostra società. Essendo un atteggiamento la solidarietà resta teoria, non quantificabile, perciò rimane un atteggiamento vago e soggetto ad interpretazioni individuali. Così la nostra idea di solidarietà si manifesta molto diversamente da quella dei cittadini del Nord Europa o anglosassoni che sono decisamente meno fraterni e più individualisti di noi in Italia.

Non possiamo quindi, pretendere che quello che vorremmo ci sia dovuto; perché gli altri devono essere solidali nei nostri confronti, anche se ne accenna una clausola.

Non vuol dire che dobbiamo fare sempre e comunque, da soli. Ci sono circostanze dove questo non è possibile. È il caso della drammatica situazione attuale cui non eravamo preparati.

Non dobbiamo però, atteggiarci come il poverino che ha bisogno di aiuto. E che per altro ha difficoltà a gestire il contributo esterno altrui. Cioè non sappiamo fornire garanzie. Dobbiamo essere piuttosto degli individui laboriosi che ricercano quel sostegno e quegli investimenti per potenziare la nostra economia. A beneficiarne non saremmo soltanto noi ma l’intera area di conviventi. Nel caso specifico l’Europa.

Invece no. Continuiamo a piangere rispetto a culture impermeabili al piagnisteo. Alle emozioni del momento preferiscono i fatti che sperimentano quelli che il senso critico può aiutare a produrre.

Questo atteggiamento lo rivediamo anche nella imbarazzante invocazione da parte dei media – main stream – e delle élite, soprattutto, di un fantomatico nuovo governo.

Non collaborano per affrontare la situazione difficile con un governo che possiamo non amare ma che è l’espressione del Parlamento e quindi dei cittadini. Vorrebbero illuderci che un altro governo, messianico appunto, sia necessario e sia possibile.

Quelli che invocano un Governo di ricostruzione nazionale a guida Mario Draghi, seppure sono un élite istruita, ignorano o meglio dimostrano di disprezzare la democrazia rappresentativa.

Prima di un governo Draghi l’attuale dovrebbe entrare in crisi. Poi ci dovrebbero essere nuove elezioni, visto che ad oggi non esiste sintomo di altra maggioranza. Ma anche se il Presidente della Repubblica volesse giocare la carta del nome dell’ex governatore della Bce, l’attuale Parlamento che ha il mandato dei cittadini, dovrebbe sostenerlo non si capisce con quali voti. Tutto questo richiederebbe tempi lunghi; una squadra di Governo; un cambio istituzionale complesso e oneroso che allo stato delle cose sono pure elucubrazioni.

Il governo Draghi avrebbe lo stesso Dna del fu governo Monti di cui ricordiamo le sorti.

È la dimostrazione, ennesima, che non vogliamo affrontare i problemi con la nostra responsabilità, ma tendiamo ad affidarci ad altri per poi accusarli di tradimento. Forse dovremmo cercare in noi stessi la propensione a risolvere le questioni che ci riguardano.

Il coronavirus, la solidarietà e il governo Draghi. L’analisi di Paganini

Tra gli atteggiamenti condivisi da molti italiani vi è quello di rimandare ad altri la soluzione di problemi che non riguardano strettamente la sfera personale. Sono gli altri che devono risolvere le questioni legate al convivere. È la nostra cultura che è rimasta imbevuta di questo atteggiamento sin dal tempo delle clientele romane; dei feudi; dei principi; delle corporazioni fasciste;…

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