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Si parla molto della possibilità di passare anche in Italia a un meccanismo di tipo proattivo per il contenimento dell’epidemia di Sars-Cov2, secondo un modello che applica diverse tecnologie all’emergenza sanitaria. Tra queste, i sistemi di tracciamento: dati incrociati di telecamere, protocolli di geolocalizzazione, transazioni con carta di credito eccetera. Tema complesso, che Formiche.net sta affrontando da diverse sfaccettature. Per dipingere il contesto italiano e inserirci la questione, abbiamo sentito Maurizio Caprara, editorialista del Corriere della Sera, già consigliere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e direttore dell’ufficio per la Stampa e comunicazione del Quirinale.

Non tanto in termini giuridici, ma politicamente si tratta di una compressione della privacy applicabile in Italia?

Si tratta innanzitutto di vedere in quali modi vengono configurati i sistemi di tracciamento, per esempio le app possibili per i telefonini. È importante capire quanto spazio lasciano alla tutela dell’anonimato nelle raccolte di dati che riguardano salute e contatti tra persone. Di rilievo è anche sapere quali garanzie queste offrono che le informazioni accumulate vengono cancellate, distrutte senza ombra di dubbio, una volta che non servono più a contenere i contagi. In linea generale, può non essere impossibile permettere raccolte di informazioni del genere in Italia. Di sicuro è meno semplice rispetto ad altri Paesi.

A quali Paesi pensa?

Non tutte le società hanno alle spalle le stesse storie. Repubblica di Corea e Israele, che erano già all’avanguardia nell’impiego di nuove tecnologie da parte delle rispettive popolazioni, sono ricorse rapidamente a sistemi di tracciamento anche per ragioni storiche, specificità nazionali.

Quali?

Le società coreana e israeliana hanno una caratteristica non altrettanto sviluppata da noi: familiarità con misure di precauzione collettiva dovute a esigenze di sicurezza. Entrambe le società hanno avuto a che fare, e tuttora hanno a che fare, con dolorose conflittualità di lunga durata. Malgrado tutte le dialettiche interne di due democrazie, Corea del Sud e Israele, di fronte a pericoli originati all’esterno, sono più propensi a proteggersi con disciplina. Faticano meno di noi a raggiungere nell’emergenza una compattezza nazionale. E Israele ha una tradizione di sostanziale fiducia verso le strutture statali addette alla sicurezza.

L’Italia è molto diversa?

Nella seconda metà del secolo scorso, pur ricavando molti vantaggi dalla propria collocazione internazionale occidentale, il nostro Paese si è contraddistinto per una divisione politica interna legata alla divisione del mondo in due blocchi, uno influenzato dagli Stati Uniti e uno dominato dall’Unione Sovietica. Questa frattura ha fatto sì che molti cittadini considerassero i servizi segreti entità di parte, non strutture a difesa di tutti. Anche se quella stagione dovrebbe essere conclusa da tempo, ha lasciato retaggi nel senso comune. Poi c’è dell’altro.

Che cosa?

Si sono aggiunti fattori successivi di divisione politica, accompagnati anche da interessi esterni a ridurre la nostra coesione sociale. L’insieme di tutto questo contribuisce a spiegare perché un israeliano possa avere meno timore dello Shin bet, il servizio segreto che adesso sovrintende ai tracciamenti anti-coronavirus, rispetto a quanto un italiano medio diffida dello Stato. Non nascondiamoci poi che con i tracciamenti i rischi di violazione di diritti individuali esistono. Non sono fantasie.

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, su questo è stato chiaro: “Non avrebbe senso condividere i dati delle persone senza il loro consenso. Quindi penso che probabilmente risponderei di no se un governo dovesse chiedermi l’accesso diretto ai dati degli utenti per combattere l’epidemia di coronavirus”. Il governo dovrebbe riuscire a convincere i cittadini che il tracciamento non è un’imposizione, ma uno strumento di protezione. Come si comunicano certe scelte?

Sarebbe stato meglio che dati di tanti utenti di social network fossero rimasti riservati anche in precedenza, invece di finire in mani poco rassicuranti. Sotto il profilo strettamente tecnico, comunque, è certo che scelte come il tracciamento degli utenti di cellulari si possono comunicare. Lo si può fare dando la sensazione che un tipo di comportamento conviene.

In quali modi?

Cercando di convincere che determina uno scambio vantaggioso per chi lo accetta. Chi comunica dovrebbe presentare lo scambio come proficuo per chi vede limitarsi uno più diritti – riservatezza, movimento – in cambio di benefici sotto un altro profilo, la salute. Sottolineo: con questo non dico che ogni forma di tracciamento sia sacra. In passato gli italiani vennero anche convinti a donare “oro alla Patria”, nel 1935, e poi a tacere perché “il nemico vi ascolta”. Lo scambio non risultò a loro vantaggio.

Sostanzialmente a contare non è soltanto l’applicazione attuale, quanto la creazione di qualche genere di precedente. L’urgenza dell’oggi potrebbe significare profondi cambiamenti nel domani. Le emergenze d’altronde si portano dietro scatti in avanti in processi che invece richiederebbero un lungo confronto di idee. Che peso potrebbero avere certe scelte su come combattere l’epidemia rispetto a più ampi scenari futuri?

Francesco Cossiga, dirigente politico e uomo di Stato molto particolare al quale di certo non mancava intelligenza, usava ricordare: “Ogni crisi è un’opportunità”. Dovremmo tenerlo a mente. Con una consapevolezza: tra i suoi vari aspetti — e il primo da non trascurare mai è il dolore delle persone che muoiono o perdono i propri cari — la crisi del Covid-19 è un’opportunità di crescita e di evoluzione tecnologica per le parti di società che non riporteranno danni profondi dal coronavirus, ma lo è anche per profittatori abili nel lucrare sulle difficoltà altrui.

Quali accortezze suggerisce?

Agire nell’ambito della Costituzione e delle normative europee. Della prima, tenere presenti per primi gli articoli 32, 15 e 16. Contrastare il virus rammentando un  tratto tipico dei nostri tempi: poteri che un domani potrebbero sfruttare in senso ingiusto questi patrimoni di dati non sono soltanto Stati o pezzi di Stati, bensì società private di telecomunicazioni e social network già da adesso dotate, in materia, di conoscenze e poteri superiori a quelli degli Stati. Se e dove vanno innovate, quindi, le normative vanno integrate scoraggiando, impedendo e sanzionando future violazioni del diritto alla riservatezza dei cittadini. Anche guardandoci intorno per valutare esperienze in altri Paesi dell’Unione Europea.

 

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