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A una settimana delle elezioni legislative, vitali per il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ci sono nuove tensioni in Medio Oriente. Domenica l’esercito israeliano ha condotto due attacchi nella Striscia di Gaza e a sud di Damasco, in Siria. L’obiettivo: attaccare la Jihad Islamica Palestinese, alleata del regime di Bashar al-Assad.

Di seguito, gli aerei di Israele hanno colpito un’altra postazione dell’organizzazione al sud di Damasco, una base utilizzata per il rifornimento di armi e carburante per i missili.

Un focus dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) sui raid israeliani da Gaza a Damasco ricorda che il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina è una delle organizzazioni politico-militari più forti nella Striscia di Gaza: “È sostenuto dall’Iran e, di riflesso, è alleato del regime di Assad in Siria. I rapporti con Hamas, al governo nella Striscia, sono consolidati dall’alleanza contro Israele. Lo scontro tra Israele e la Jihad Islamica si è intensificato dallo scorso novembre, quando un raid aereo israeliano ha ucciso uno dei comandanti dell’organizzazione”. Quindi, gli ultimi attacchi arrivano in un mese di forte tensioni tra le parti coinvolte, dopo la proposta del Piano di pace per Israele e Palestina, presentata dal presidente americano Donald Trump, che è stato respinta dai palestinesi.

Oltre alle alture del Golan, gli interessi di Israele in Siria riguarderebbero anche il contenimento delle milizie sostenute dall’Iran, tra cui la Jihad Islamica. “Ad al-Adleyeh, il sobborgo meridionale di Damasco colpito dal raid israeliano – si legge nel report – vi sarebbero anche ufficiali del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, ovvero i pasdaran iraniani che in Siria sostengono Assad. L’obiettivo di Israele è di combattere tutte le forze sottoposte all’agenda di politica estera di Teheran, che si avvale dei territori che confinano con lo stato ebraico, tra cui anche il Libano”.

Lo scontro tra Israele e Gaza si inserisce in un vecchio ambiente di tensioni. Come spiega l’Ispi, “da parte palestinese, i razzi lanciati dalla Jihad Islamica possono essere interpretati come una pressione diretta verso Hamas, che conduce informalmente i negoziati con Israele ed Egitto, e spingere per un’intensificazione del conflitto”. Secondo Avigdor Lieberman, leader del partito di destra nazionalista Israel Beytenu competitor del Likud di Netanyahu, il premier israeliano “avrebbe mandato in Qatar il generale dell’esercito in carica per la questione di Gaza, insieme a ufficiali dei servizi segreti del Mossad, con l’obiettivo di ‘implorare’ i qatarini di continuare a finanziare Hamas, ‘per mantenere la pace’”.

In questo contesto, i raid israeliani hanno anche un peso politico. Tra una settimana si terranno le elezioni legislative in Israele, le terze in meno di un anno. Netanyahu cerca di mantenere la propria posizione, ma dovrà fare fronte a non poche accuse.

“Il primo ministro vuole mantenere intatta l’immagine di difensore della sicurezza di Israele – sostiene l’Ispi -, concetto su cui ha basato tutti gli interventi militari nella Striscia da quando è al governo. Gli attacchi contro la Jihad Islamica rinsalderebbero questa retorica a pochi giorni dal voto e in un momento in cui, stando ai sondaggi, il suo Likud sembra tornare in vantaggio sul partito centrista Blu e Bianco del suo sfidante Benny Gantz”.

Infine, un commento di Eugenio Dacrema, Acting Co-Head Ispi Mena Centre, conclude il focus: “Da almeno un anno Israele non fa mistero di questi attacchi preventivi in Siria. […] La novità sta piuttosto nel fatto che gli attacchi siano avvenuti contemporaneamente su due fronti distinti”. L’obiettivo, secondo l’analista, “è indebolire le milizie controllate da Teheran, che non ha controllo diretto dei confini con Israele, motivo per cui ricorre a gruppi quali Hezbollah in Libano o appunto Jihad Islamica in Siria per avere più fronti aperti con lo stato ebraico”.

 

Israele torna al voto e Gaza si riaccende. L'analisi dell'Ispi

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