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Le interferenze della Cina si stanno facendo sempre più aggressive con il coronavirus. A raccontarlo è un’analisi del Cyber Policy Center del Freeman Spogli Institute for International Studies alla Stanford University ripresa anche da Formiche.net nei giorni scorsi. Ma c’è una novità nell’approccio di Pechino: Axios parla di “una pagina” presa in prestito “dal manuale della disinformazione russa”.

Il Partito comunista cinese, scrive il sito statunitense, “ha trascorso la scorsa settimana ad alimentare pubblicamente teorie complottistiche intese a mettere in dubbio le origini del coronavirus, e quindi a deviare le critiche sull’iniziale cattiva gestione dell’epidemia da parte della Cina”. Abbiamo così visto funzionari del ministero degli Esteri e giornali del Partito schierati in prima linea per rilanciare teorie sulla nascita del Covid-19 in un laboratorio militare statunitense o sulla prima volta dell’infezione che sarebbe stata registrata in Italia a novembre. Altri non si sono lanciati in congetture così sfacciate ma hanno comunque affermato, “più vagamente” nota Axios, che il virus potrebbe non provenire da Wuhan, la città dell’Hubei epicentro dell’epidemia .

Controllo della realtà: i virologi affermano che il coronavirus non mostra segni di ingegneria in un laboratorio e gli epidemiologi concordano sul fatto che il primo focolaio è stato a Wuhan.

La nuova tecnica adottata da Pechino è molto differente da quelle precedenti. A spiegarlo ad Axios è Laura Rosenberger, direttore dell’Alliance for Securing Democracy e senior fellow del German Marshall Fund. Ci sono tre tattiche “che Pechino ha applicato nella sua campagna propagandistica sul coronavirus che ricordano chiaramente la strategia russa”:  la diffusione di “teorie del conflitto multiplo”; l’amplificazione di “siti web complottistici” che, secondo Rosenberger, non offrono alcuna trasparenza sui finanziamenti ma promuovono quelle teorie “che lo Stato intende sostenere” e l’uso coordinato di account Twitter di diplomatici e ambasciate, assieme ai media del regimi, per dare più spinta alle teorie complottistiche.

C’è una differenza però. Le tecniche di disinformazione russa hanno come obiettivo la destabilizzazione e il caos. Pensiamo al ruolo di Mosca nell’abbattimento del volo MH17 della Malaysian Airlines in Ucraina nel luglio 2014, alle inferenze nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2016 o ancora al caos dell’avvelenamento dell’ex spia russa Sergei Skripal nel Regno Unito nel 2018. La disinformazione del Partito comunista cinese segue le stesse metodologie ma ha fini diversi, “nettamente diversi” scrive Axios. Queste operazioni, a cui si aggiungono censura interna e repressione, servono a dare lustro all’immagine del Partito comunista cinese nel mondo. Ma anche – e qui c’è un’altra differenza con la Russia – all’interno del Paese.  

Tra aiuti e disinformazione, sul coronavirus è in corso una “campagna informativa aggressiva per dipingere la Cina come il nuovo partner cui ricorrere”, ha concluso Rosenberger. E i “passi falsi statunitensi” hanno creato un “terreno fertile” per far sì che questo messaggio prendesse piede.

La disinformatia della Cina come quella russa? Ecco tutte le analogie...

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