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L’emergenza sanitaria tuttora in corso in Italia e nella maggior parte dei Paesi sviluppati costituisce una sfida sotto molti aspetti senza precedenti sul piano economico. Se la Grande Depressione può essere un utile riferimento sul piano del grado di contrazione economica, non può tuttavia esserlo né sul piano della risposta dei policy makers allo shock, ben più consapevole e tempestiva rispetto a quanto avvenne negli anni ’30 quando per anni si perseverò nella maggior parte dei Paesi con politiche economiche restrittive, né sul piano dell’impatto qualitativo che la pandemia ha e continuerà ad avere sulla vita degli individui e delle imprese.

Ne consegue che la risposta dei governi e della società, nel tenere conto delle specificità del potentissimo shock economico in corso, deve rivolgersi ai singoli settori cercando di stimolare quanto più possibile l’efficienza allocativa, in uno sforzo collettivo orientato al fine ultimo della ripartenza, ossia una fase di espansione macroeconomica su basi sostanzialmente rinnovate sia sul piano delle modalità di interazione sociale sia sul piano dell’intervento pubblico in economia. La risposta del governo italiano è tuttora in fase di definizione per il medio termine, mentre per il breve termine, al netto delle misure di attuazione, il piano complessivo è già definito e prevede un incremento della spesa di circa 25 miliardi di euro come risposta immediata alle necessità di breve periodo del Sistema Sanitario Nazionale, delle imprese (soprattutto medie e piccole) e delle famiglie, fondato su un incremento dell’indebitamento netto pari a circa 20 miliardi di euro nel 2020.

Se le misure per l’emergenza possono consentire ai soggetti interessati di ridurre gli effetti negativi del lockdown nell’anno in corso, non appaiono tuttavia appropriate per una fase di ripartenza che vedrà ridisegnati molti (se non tutti) i meccanismi di interazione sociale, per i quali occorreranno nuovi interventi regolamentari e schemi di incentivi. Il quadro macroeconomico entro il quale questo nuovo insieme di interventi pubblici dovrà prendere corpo sarà purtroppo fortemente condizionato dal blocco, ancorché parziale, dell’attività economica e del conseguente calo dei consumi originato nella prima metà del 2020. L’impatto economico della pandemia è stato recentemente stimato dal Fondo monetario internazionale nel World Economic Outlook di aprile 2020.

Assumendo che la pandemia si arresti a livello globale nella seconda metà del 2020, essa avrebbe avuto un impatto negativo pari a circa il 6% del Pil mondiale, imponendo di rivedere la proiezione per il 2020 da +3.3% a -3% rispetto alle previsioni precedenti, con un aggiustamento maggiore per il gruppo delle economie avanzate rispetto alle economie emergenti e in via di sviluppo. Tra le economie avanzate, l’area euro e in particolare l’Italia sperimenterebbero l’impatto maggiore, rispettivamente pari a -8.8% e -9.6% rispetto alla variazione attesa prima che si verificasse lo shock. Ciò significherebbe, per l’Italia, una dinamica del Pil 2020 fortemente negativa, il cui valore sarà plausibilmente, in base alle proiezioni del Fondo, inferiore almeno del 9.1% rispetto al valore del 2019 (-8.9% in termini pro capite). Occorre tenere presente che le misure di sostegno finora attivate dal governo potrebbero rimanere necessarie durante la fase di aggiustamento e che la loro dismissione dovrebbe essere quanto più possibile graduale e mirata.

Al netto della dinamica di crescita del Pil degli ultimi anni, sempre inferiore ai maggiori Paesi dell’area euro e in fase di rallentamento, l’ulteriore deterioramento del quadro macroeconomico potrebbe innescare un inasprimento delle condizioni di finanziamento del nostro Paese sui mercati internazionali, in relazione alla minore sostenibilità percepita per il debito pubblico italiano. La rilevanza di questo aspetto della crisi dovuta alla pandemia è della massima importanza in quanto la sostenibilità del debito condizionerà l’azione pubblica in Italia nei prossimi decenni in misura ancora più rilevante di quanto avvenuto finora. Indipendentemente dall’insieme di strumenti attivati per l’emissione delle obbligazioni, il tema della sostenibilità del debito sarà centrale, soprattutto nel momento in cui la Banca centrale europea modificherà il suo orientamento di politica monetaria. Le previsioni del Fondo monetario sull’inflazione dell’Area Euro prefigurano una crescita dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo dello 0.2% nel 2020 e dell’1% nel 2021.

Tuttavia, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, l’indebitamento netto del settore pubblico italiano salirà all’8.3 del Pil nel 2020 e al 3.5% del Pil nel 2021. Solo nel 2014, in piena crisi del debito sovrano, tale rapporto ha superato il 2.9%, arrivando al 3%. Un indebitamento netto stabilmente al di sopra del 3%, accompagnato a un costo del debito in crescita per effetto del peggioramento del merito di credito sovrano, renderebbe difficilmente sostenibile un debito pubblico in crescita. Ne consegue che la politica economica dei prossimi anni dovrà con maggiore vigore puntare a incentivare efficienza e produttività in tutti i settori e in primis in quelli ad alto livello di innovazione, accompagnando gli interventi con un livello di tassazione equilibrato per non favorire inefficienze o insostenibilità economica, ma congruo in relazione alle potenzialità di crescita e di sviluppo di ogni singolo settore.

 

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