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Non una sola Cina, ma due. È questo lo scenario che si para di fronte a un economista quando cerca di scandagliare in profondità i dati ufficiali di Pechino sulla crescita cinese, e l’impatto che su di essa avrà la pandemia del Covid-19. Oltre le statistiche c’è un Paese reale che, senza l’intervento dello Stato (e dunque del Pcc, il Partito comunista cinese) non si reggerebbe in piedi. Per capirlo serve un economista che vive da anni in Cina, e sa leggere in controluce i bollettini della Città Proibita. È il caso di Michael Pettis, professore di Finanza all’Università di Pechino, non-resident Senior Fellow del Carnegie-Tsinghua Center for Global Policy. Intervistato da Formiche.net, Pettis è l’ospite dell’ultimo appuntamento della serie di webinar intitolata “China in the Middle East-Mediterranean (Mid-Med)”, un ciclo di incontri (di cui Formiche è media partner esclusivo) organizzati dalla Tel Aviv University e da ChinaMed, un progetto del Center for Mediterranean Area Studies dell’Università di Pechino e del Torino World Affairs Institute, parte del TOChina Hub sviluppato dall’Università di Torino. A dialogare con lui, Enrico Fardella, professore associato del dipartimento di storia dell’Università di Pechino, il professore Ori Sela, direttore del dipartimento di East Asian Studies della Tel Aviv University, e il professor Brandon Friedman, director for research del Moshe Dayan Center della Tel Aviv University, Giuseppe Gabusi, professore dell’Università di Torino e senior fellow di ChinaMed).

Professore, sappiamo che la crisi del Covid-19 avrà un enorme impatto sull’economia cinese. Ma quanto davvero bisogna fidarsi delle cifre ufficiali di Pechino? Cosa ci dicono e cosa no dello stato di salute dell’economia?

Bisogna fare estrema attenzione quando si leggono i dati ufficiali cinesi. Se sei nato a Pechino e hai perso il lavoro, allora rientri nel tasso di disoccupazione. Se sei nato in periferia o nell’entroterra e non hai la residenza in città, è probabile che tu non sia conteggiato. Dal momento che buona parte dell’attuale disoccupazione è composta dai lavoratori migranti, i dati ufficiali devono essere rivisti a rialzo. Lo stesso discorso vale per il Pil cinese. Giornalisti ed economisti tendono a pensare al Pil in Cina come al Pil negli Stati Uniti, in Italia o in Brasile. Non è così. Nella maggior parte degli altri Paesi la crescita del Pil è molto difficile da prevedere, perché è frutto di diversi fattori. In Cina è molto semplice: la crescita del Pil coincide con il target di crescita. In poche parole, è un input, non un output.

Ci spieghi meglio.

Ci sono due soli modi per far sì che la crescita coincida con il target. Impegnare quantità di denaro illimitate per generare una crescita sufficiente, e non avere restrizioni di budget. Altrove non si può fare. Se costruisci due fabbriche in Europa, la prima produce bene, la seconda non produce niente, quest’ultima va in bancarotta. In Cina entrambe rimangono aperte e alzano il Pil, perché le autorità locali intervengono per evitare la chiusura.

Funziona così in tutta la Cina?

Possiamo assumere che ci sono due Cine identiche sotto ogni aspetto, eccetto uno: la prima iscrive gli investimenti “cattivi” esattamente come gli altri Paesi, la seconda non lo fa. Nonostante queste due “Cine” siano sostanzialmente identiche, riportano due crescite del Pil completamente diverse. La prima Cina riporta un tasso di crescita che è la metà della seconda, ed è il suo tasso che è paragonabile a quello del resto del mondo. Ma è il tasso della seconda Cina ad essere ufficialmente riportato, ogni mese.

Cosa aspettarsi allora dalla crescita cinese quest’anno?

Sappiamo che la crescita reale è trainata dai consumi, dall’export, dal settore privato. I consumi a loro volta sono determinati dai redditi delle famiglie e dal tasso di risparmio privato. A causa dell’alta disoccupazione, in Cina il reddito famigliare è più basso dell’anno scorso, e di conseguenza il risparmio privato è aumentato e i consumi diminuiti. L’export, come nel resto del mondo, rimarrà basso a lungo, e così gli investimenti. Dunque la crescita reale, in Cina, sarà negativa. La crescita riportata invece è positiva. Perché le autorità locali sono costrette a dare in prestito denaro e a costruire opere pubbliche per tenere basso il tasso di disoccupazione.

Cosa succederà invece all’export, da sempre traino della crescita cinese?

Come ogni altro Paese dipendente dall’export, la Cina teme l’impatto del Covid-19 e farà interventi sul lato dell’offerta per stabilizzare il commercio e supportare le esportazioni. Se l’export mondiale crolla in media del 10%, probabilmente scenderà di più, significa che alcune nazioni fermeranno il crollo al 5% e altre ne subiranno uno molto maggiore. Vedremo dunque i Paesi dipendenti dal surplus commerciale proteggere i loro surplus, e i Paesi in deficit andare sempre più in basso.

In Europa da mesi è stato avviato un dibattito sugli investimenti diretti esteri cinesi. A breve la Commissione Ue pubblicherà un Libro bianco sullo screening da adottare contro investimenti ritenuti pericoloso. Qual è il suo bilancio? Gli investimenti cinesi sono un bene o no per il mercato europeo?

C’è una percezione generale che gli investimenti diretti esteri cinesi siano buoni per l’Europa, non è vero. Questi investimenti sono buoni per Paesi in via di sviluppo dove ci sono istituzioni che risparmiano per andare incontro ai bisogni domestici, come nel caso degli Stati Uniti nel XIX secolo. Oggi in Europa c’è un’enorme liquidità, le aziende poggiano su grandi quantità di cash, i capitali si muovono liberamente. L’unica giustificazione per cercare investimenti diretti esteri è che portino tecnologia di cui l’Ue non sia in possesso, ma questo è improbabile. I benefici di questi investimenti sono molto sopravvalutati. Quando il denaro estero entra nel tuo Paese, o vanti un disavanzo corrente, o i tuoi risparmi aumentano. L’Ue è composta di nazioni sviluppate, non riesce nemmeno a usare tutto il capitale di cui dispone. Non trae beneficio dagli investimenti diretti esteri, che non fanno che aumentarne il debito e la disoccupazione.

Al tema degli investimenti è legata la nuova Via della Seta, che vede in Europa, e in Italia, il suo terminale ideale. La Cina di Xi può ancora permettersi un piano infrastrutturale del genere?

Bisogna guardare alla Bri in un più ampio contest storico. Negli ultimi cento anni, ogni Paese che è diventato un grande esportatore di capitali si è convinto di poter dare in prestito denaro ai Paesi in via di sviluppo meglio di altri. Lo hanno fatto negli anni ’20 del ‘900 gli Stati Uniti, credendo di essere più furbi degli inglesi, negli anni ’60 i sovietici con i Paesi comunisti, negli anni ’80 il Giappone. In tutti questi casi si è registrata un’enorme perdita finanziaria. Sarà così anche per la Cina. Dieci anni fa, la Cina aveva un tasso di risparmio privato troppo alto. C’era la percezione che il Paese fosse a un punto di svolta nella sua storia. Tre, quattro anni fa, guardando cosa è successo in Venezuela, la Cina si è resa conto che è molto semplice dare in prestito denaro a debitori rischiosi durante il ciclo positivo, è molto più difficile richiederlo indietro quando il ciclo economico è negativo. È esattamente quello che sta per succedere in Cina con la Bri. Ma non si può più tornare indietro. Ormai è incastonata nella Costituzione.

Chiudiamo con uno sguardo alle tensioni fra Cina e Stati Uniti. Dalla tecnologia al commercio, ormai da più parti si sente parlare di nuova Guerra Fredda. La pandemia accelera questo processo?

Le tensioni Usa-Cina non faranno che peggiorare. Ma è sbagliato concentrarsi solo su queste. Così come lo è ingigantire la vicenda di Huawei, una grande azienda che però ha solo un impatto minimo sull’economia cinese. Ci sono tante altre tensioni di confine che rischiano di esplodere, negli Stati Uniti, in Cina, perfino fra Stati europei. Il confronto è sempre più globale e si giocherà sulle bilance commerciali, e non potrebbe essere altrimenti. La domanda mondiale è data da tre fonti: i consumi, gli investimenti, e i surplus commerciali. Come abbiamo detto, i consumi stanno crollando, e gli investimenti aumentano i debiti o sono improduttivi. Il commercio sarà il vero campo di battaglia.

 

Ecco il video completo dell’intervista in cui Micheal Pettis ha discusso dell’impatto della crisi sull’economia cinese.

GUARDA IL VIDEO COMPLETO

Perché all'Europa (non) convengono gli investimenti cinesi. Parla Pettis (Peking University)

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