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Cinque miliardi di investimenti in sei anni per evitare il decadimento delle capacità dell’Esercito italiano. È la richiesta avanzata dal capo della Forza armata Salvatore Farina, intervenuto oggi alla presentazione dello studio Urgenza della trasformazione militare a cura del Centro Studi Esercito, presso palazzo Guidoni, a Roma, sede del segretariato generale della Difesa. Le risorse aggiuntive serviranno all’Esercito per affrontare le minacce che si stanno affacciando ai nostri confini, ibride e in evoluzione, all’industria per avere una chiara pianificazione delle attività e al Paese per aumentare il livello di difesa. Prima di tutto, come emerso nel corso del dibattito, occorre invertire in fretta il trend dei budget risicati per il settore.

LE PAROLE DEL SOTTOSEGRETARIO CALVISI

L’invito è stato raccolto dal sottosegretario alla Difesa Giulio Calvisi. Sul bilancio, ha detto, “occorre invertire la rotta”. Negli ultimi mesi, ha però ricordato, ci sono stati segnali in tal senso, con il via libera a diversi programmi attesi da tempo, tra cui il Soldato sicuro e il nuovo elicottero multiruolo per l’Esercito. “È poco rispetto a quanto servirebbe”, ha ammesso Calvisi, ed è per questo che si potrebbe partire con una rivalutazione degli obiettivi della legge di Paola relativa alla revisione dello strumento militare (con forte riduzione dei livelli numerici). Quel provvedimento del 2012, ha notato il sottosegretario, fu figlio “di un periodo di forte austerity e di taglio della spesa pubblica, prevedendo tra l’altro da subito un investimento in tecnologie che invece non c’è stato”.

L’OPERAZIONE CULTURALE

Per recuperare terreno serve però “un’operazione culturale”, tema caro al ministro Lorenzo Guerini. Si tratta di “raccontare la verità della Difesa”, un settore “essenziale per poter giocare la partita della pace e della sicurezza internazionale” e quella “della sfida tecnologica, la cui posta in palio è il possibile dominio degli altri su di noi”. Per questo servono investimenti: “Dobbiamo essere al passo dell’innovazione, altrimenti accumuleremmo un gap che non saremo più in grado di recuperare”. Tale esigenza si basa su una visione strategica che ha origine nella consapevolezza degli scenari operativi.

IL QUADRO DELLE MINACCE…

Lo studio del Centro Studi Esercito parte da tale analisi. È in corso, ha spiegato il suo presidente Enzo Stefanini, già segretario generale della Difesa, “un’evoluzione rapida degli equilibri geopolitici globali”, con “latenti o manifesti focali di tensioni” a cui si aggiunge “l’imprevedibilità delle crisi”. Le minacce si rivelano “sempre più asimmetriche”, ibride e interconnesse in una sovrapposizione tra domini operativi, compreso quello cibernetico. I conflitti del futuro saranno urbani, difficili da gestire secondo i canoni e le capacità tradizionali. Come notato nel corso della conferenza dal generale Paolo Ruggiero, vice comandante del Comando della Nato per la trasformazione, con sede a Norfolk, “la situazione strategica appare molto complessa”. Tre i trend individuati dall’Alleanza, ha aggiunto il generale: la competizione strategica tra potenze, con l’aggiunta di nuovi attori (Cina, Corea del Nord e Iran); l’instabilità diffusa, soprattutto nel fronte sud della Nato; e i possibili “shock strategici”, imprevedibili ma in grado di rompere gli equilibri, come epidemie, disastri ambientali o crisi economiche.

…TRA TECNOLOGIE E ACCADEMIA

Consapevoli di questo quadro, gli ha fatto eco Gordon Davis, vice assistente del segretario generale della Nato per gli investimenti nella Difesa, occorre individuare le capacità che saranno necessarie nel prossimo futuro. L’Alleanza Atlantica ha già tracciato alcune linee di tecnologie che già si stanno dimostrando “dirompenti” anche in ambito militare, tra cui l’intelligenza artificiale, i Big data (e la capacità di analizzarli), le biotecnologie e le attività spaziali. È in questo senso che occorre ripensare anche la ricerca accademica, ha spiegato il professor Maurizio Talamo, prorettore dell’Università di Roma Tor Vergata. Due gli obiettivi: approfondire l’interdisciplinarietà dei progetti e focalizzarsi sulle possibilità di trasferimento tecnologico. “Se vogliamo essere competitivi tra quindici anni – ha detto l’accademico – non possiamo fare ricerca senza pensare a come trasferirla”.

IL NODO DELLE RISORSE

Nel campo della Difesa, l’ambizione italiana è frenata dal ben noto problema della scarsità di risorse, a cui si aggiunge uno sbilanciamento di quelle disponibili a danno degli investimenti e del mantenimento delle capacità operative. Una situazione che l’Esercito sente particolarmente. Secondo lo studio presentato a Centocelle, a fronte di circa 18,5 miliardi di euro per la Difesa nel 2018, all’Esercito ne sono andati 5,8. L’80% di questi è stato dedicato al personale (spesa “non comprimibile” secondo Stefanini), il 4% al mantenimento e il 15% agli investimenti. A rendere l’idea della difficoltà è il confronto con la media Nato, che vede per il personale il 55% delle risorse, il 21% per il mantenimento e il 24% per gli investimenti. Stante questa situazione, ha spiegato il generale Stefanini, qualora si perseguisse con l’attuale lentezza di stanziamenti, “ci vorrebbero all’incirca cinquant’anni per ammodernare tutto l’Esercito, cioè per avere la Forza armata che però già servirebbe oggi”.

LA TRASFORMAZIONE DELL’ESERCITO

Tempi non ammissibili per il generale Farina, che ha già presentato la situazione alle Commissioni Difesa di Camera e Senato. Intendiamoci, “l’Esercito è pronto, capace, sano e in grado di assolvere ai propri compiti”, ha detto il capo di Stato maggiore della Difesa. Il problema è “per quanto potrà restare così e con quale qualità di tecnologie per contrastare o ancor prima dissuadere l’avversario”. Da qui l’avvertimento: “Se entro cinque anni non si interviene in modo importante per invertire il trend (della sottocapitalizzazione, ndr), l’Esercito non avrà le stesse capacità di oggi e alcune saranno perse per sempre”. Ciò riguarda tutte le componenti della Forza armata, dalla nuova versione del veicolo multiruolo leggere Lince (già sviluppata da Iveco Defence Vehicles) al Centauro II (del consorzio Iveco-OtoMelara), il blindo per cui è stato siglato un contratto per dieci esemplari a fronte di un’esigenza di 136.

IL RUOLO DELL’INDUSTRIA…

La questione si lega alla certezza programmatica, tema su cui anche dal Quirinale sono arrivate indicazioni. Poter avere risorse e tempi certi è utile alle Forze armate e all’industria nazionale. Come notato da Marco De Fazio, responsabile della divisione Elettronica Italy di Leonardo, è “fondamentale poter avere una direzione per indirizzare le risorse e l’innovazione”. Sono i programmi pluriennali, “vitali per poter agire in una prospettiva di medio-lungo periodo”, ha aggiunto il manager. Ciò riguarda la grande industria così come “tutto l’indotto”, permettendo di “abilitare efficienze che altrimenti non sarebbe possibile attivare”. Tra l’altro, proprio per cogliere la sfida dell’innovazione tecnologica (e dell’interdisciplinarietà), l’azienda di piazza Monte Grappa ha lanciato lo scorso dicembre i Leonardo Labs, laboratori trasversali alle divisioni per progetti innovativi nel campo di Big data, intelligenza artificiale e machine learning.

…A DIFESA DEGLI INTERESSI

D’altra parte, ha ricordato il presidente dell’Aiad Guido Crosetto, la difesa è “il settore che investe di più in ricerca e sviluppo, oltre dieci euro ogni cento di spesa complessiva”. È inoltre in grado di “generare 2,7 euro di output ogni euro investito”, numeri che “nessun altro comparto può vantare”. C’è però di più: “La Difesa riguarda il ruolo che lo Stato vuole avere negli scenari internazionali”. Investirvi vuol dire “poter disporre di uno strumento di politica estera e di difesa degli interessi nel medio-lungo termine”. Tra questi vi è proprio la possibilità di restare attore di rilievo in campo internazionale, ragion per cui servono investimenti in capacità. “È un settore in cui l’impatto della tecnologia determina il declino immediato di chi non la possiede”. Negli Stati Uniti, ha notato Crosetto, “stanno investendo sull’elicottero del futuro”, una macchina che “andrà al doppio della velocità rispetto a quelle attuali”. Se l’industria italiana non avrà quella capacità, ha aggiunto il presidente dell’Aiad, non potrà restare competitiva com’è adesso su scala globale.

QUINDI, COSA FARE?

Decidere dove voler essere nei prossimi dieci anni è dunque il punto di partenza per rilanciare il settore della Difesa. Segue una serie di accorgimenti più dettagliati elencati dall’analisi del Centro Studi Esercito, indicazioni condivise da tutti gli intervenuti al convegno. Tra queste, c’è una parte “non material”, forse più semplice da realizzare. Si va dalla ripresa del Libro bianco, all’integrazione europea, fino alla definizione di una politica industriale. Qui, la parola d’ordine è “continuità”, oltre gli esecutivi e le legislature, ha detto il generale Stefanini. Più ardua la parte “material” suggerita dalla studio: risorse aggiuntive di circa un miliardo all’anno per i prossimi quindici anni al fine di ammodernare e rinnovare l’Esercito. Il primo passo, spiegato dal generale Farina, è una “legge terrestre”, simile a quella che nel 1977 avviò il rinnovamento della Forza armata. Farina ha detto di aver presentato uno proposta per cinque miliardi in sei anni al suo superiore, il capo di Stato maggiore della Difesa. “Servirà a dare la ripresa di cui abbiamo bisogno – ha detto concludendo – l’esigenza di recuperare un gap capacitivo e tecnologico è conosciuta da tutti”.

Gli investimenti che servono alla Difesa. Lo studio dell'Esercito

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