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Il volto provato, segnato, sofferente. I naselli per l’ossigeno. Queste immagini ci accompagnano da quando a mezzogiorno del 23 marzo 2025 papa Francesco è apparso da un balcone del Gemelli, ha salutato i presenti con il pollice alzato, si è rivolto come ha potuto a una donna che portava un mazzo di fiori gialli, le ha parlato brevemente per dire grazie, proprio a lei!

C’è in questo comportamento probabilmente naturale per lui l’indicazione che il cosiddetto “pastore” segue e cura e accompagna individualmente le cosiddette “pecore” del suo gregge. E anche in quelle condizioni problematiche Francesco lo fa.

Stupisce che a scrutarlo con affetto sofferente non ci siano solo credenti, anche molti “secolarizzati”, quelli che lui ha riconosciuto come “fratelli”, soprattutto nel potente discorso di Ajaccio, pochi mesi fa. Poi è uscito dall’ospedale, in automobile, i fotografi lo hanno ritratto, fermato l’immagine: Francesco soffre, ma è voluto anche passare a Santa Maria Maggiore prima di rientrare a Santa Marta.

È comunque l’immagine più della sofferenza che della guarigione quella che ci consegna, sebbene accompagnata da fiducia, speranza e volontà. Lo si è visto anche alla fine della sua breve apparizione dal Gemelli, quando ha avuto un evidente attacco di tosse, difficile da gestire, ma lui sente che il suo compito è andare a casa, andare avanti. Una volta a chi gli diceva di doversi riguardare ha risposto: “Ho accettato non per riposarmi”. È così. Bergoglio sta meglio, ce la fa, ma è nella fragilità. Si può cercare il senso di questa sua giornata?

Il dolore, la fragilità di un uomo, chiunque sia, ci parla sempre, se volessimo vedere quel volto, quella sofferenza. Ma sono tante, tantissime, con tanti volti, ad esempio dai teatri di guerra, oppure intorno a noi: tra i dimenticati o tra i nostri vicini. Ma la sofferenza del papa è per tutti e lui ha scelto di presentarsi come un uomo normale, senza nascondimenti. Questa “glasnost” di Francesco è la novità profonda per tutti coloro che continuano a fare del papa un semidio e non un uomo come noi.

È soprattutto per contrastare questa deformazione del “sacro” che Francesco deve imporre la verità, la sua diffusione, via etere o via bollettini medici. Ma non è tutto qui, non c’è solo questo in questa giornata. Non so come sarà la convalescenza di Francesco, non posso saperlo e spero che sia tale. Ma oggi è emerso chiaramente anche che lui è la voce di un mondo che cammina male, che respira a fatica, con il volto segnato da tanto occultato dolore. Per quante crisi planetarie occultiamo il dolore per discorrere d’altro, anche necessario, per carità. Così alla fine emerge però che lui, volente o non, oggi rappresenta le nostre fragilità che neghiamo, nascondiamo, non vediamo. È qui forse il segreto della sua leadership morale globale, nonostante i tanti citati veleni che lo circonderebbero. Francesco oggi ci ha parlato di ciò che è dentro di noi e che non ammettiamo; non le forze, ma le tante fragilità occultate.

Nel giorno del suo rientro in Vaticano ha certamente rilievo anche il testo che ha preparato per la preghiera dell’Angelus: “La parabola che troviamo nel Vangelo di oggi ci parla della pazienza di Dio, che ci sprona a fare della nostra vita un tempo di conversione. Gesù usa l’immagine di un fico sterile, che non ha portato i frutti sperati e che, tuttavia, il contadino non vuole tagliare: vuole concimarlo ancora per vedere «se porterà frutti per l’avvenire» (Lc 13,9). Questo contadino paziente è il Signore, che lavora con premura il terreno della nostra vita e attende fiducioso il nostro ritorno a Lui. In questo lungo tempo di ricovero, ho avuto modo di sperimentare la pazienza del Signore, che vedo anche riflessa nella premura instancabile dei medici e degli operatori sanitari, così come nelle attenzioni e nelle speranze dei familiari degli ammalati. Questa pazienza fiduciosa, ancorata all’amore di Dio che non viene meno, è davvero necessaria alla nostra vita, soprattutto per affrontare le situazioni più difficili e dolorose.

Mi ha addolorato la ripresa di pesanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, con tanti morti e feriti. Chiedo che tacciano subito le armi; e si abbia il coraggio di riprendere il dialogo, perché siano liberati tutti gli ostaggi e si arrivi a un cessate il fuoco definitivo. Nella Striscia la situazione umanitaria è di nuovo gravissima ed esige l’impegno urgente delle parti belligeranti e della comunità internazionale.

Sono lieto invece che l’Armenia e l’Azerbaigian abbiano concordato il testo definitivo dell’Accordo di pace. Auspico che esso sia firmato quanto prima e possa così contribuire a stabilire una pace duratura nel Caucaso meridionale.

Con tanta pazienza e perseveranza state continuando a pregare per me: vi ringrazio tanto! Anch’io prego per voi. E insieme imploriamo che si ponga fine alle guerre e si faccia pace, specialmente nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Libano, Myanmar, Sudan, Repubblica Democratica del Congo”.

L’elenco conclusivo, neanche completo, ci parla di quella guerra mondiale a pezzi che raramente vediamo nel suo insieme, si sofferma in particolare su Gaza e poi sull’intesa da ratificare tra Armenia e Azerbaigian. La fragilità lo aiuta a vedere tutte le fragilità, senza rimuovere chi non è esplicitamente citato come la Turchia, la Siria e tanti altri.

La sofferenza di Francesco e le fragilità del mondo. La riflessione di Cristiano

È l’immagine più della sofferenza che della guarigione quella che ci consegna Bergoglio, sebbene accompagnata da fiducia, speranza e volontà. Una volta a chi gli diceva di doversi riguardare ha risposto: “Ho accettato non per riposarmi”. È così. Francesco sta meglio, ce la fa, ma è nella fragilità. Il senso di questa giornata nella riflessione di Riccardo Cristiano

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