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La bozza circolata nei giorni scorsi dell’accordo intra-libico è stata approvata “senza modifiche sostanziali” dalla Conferenza di Berlino. Sì alla continuazione del cessate il fuoco e via al sistema di monitoraggio “5+5” tra le parti sono i due punti salienti nell’immediato. Per questo la cancelleria tedesca parla di una soluzione raggiunta, sebbene pare che ci siano stati anche all’ultimo minuto alterchi tra i due fronti, dopo che anche stamattina sono stato registrati scontri a sud-est di Tripoli e che i leader dei due schieramenti libici hanno rifiutato incontri diretti.

In particolare, sembra che il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, difensore di Tripoli – dove è insediato il Governo di accordo nazionale (Gna), guidato da Fayez Serraj – ha lasciato il vertice senza prendere parte alla conferenza stampa congiunta. Motivo: un forte scontro con i rappresentati di Egitto ed Emirati Arabi, sostenitori dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, che da circa dieci mesi sta cercando di rovesciare l’esecutivo internazionalmente riconosciuto. Anche Vladimir Putin ha lasciato l’incontro prima del previsto: non sono chiare le ragioni, ma il ministro degli Esteri russo ha commentato che è “ancora impossibile un dialogo serio tra parti in conflitto”.

Alla riunione multilaterale con cui si intendeva  segnare un passaggio per il futuro della Libia, hanno partecipato – con pressing, mediazioni e interessi – rappresentanti di alto livello da Algeria, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Italia, Regno Unito, Repubblica del Congo, Russia, Stati Uniti e Turchia; così come quelli della Lega Araba, Nazioni Unite, Unione Africana e Unione Europea.

Formiche.net ha raggiunto Karim Mezran, Senior Fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council, tra i massimi esperti di Libia a livello mondiale.

Cosa esce da Berlino?

Dobbiamo essere chiari, a leggere quella che è la definitiva stesura del deal si capisce un aspetto evidente, e senza nemmeno cercare troppo tra le righe: c’è una completa legittimazione di Haftar, che è stato portato sullo stesso livello del governo. Ormai non è più un aggressore, le potenze europee e tutti gli altri accettano formalmente questa parità di considerazione: in Libia ci sono due fazioni.

C’è anche un passaggio a proposito di “un nuovo governo di accordo nazionale”: che significa? È la fine dell’esecutivo Serraj?

Certo. È stata decretata la fine di questo Gna, e verrà nominato un nuovo primo ministro, che chiaramente immagino sarà molto vicino ad Haftar e alle sue posizioni. A quel punto sarà lui a guidare il nuovo governo con cui tutti interloquiranno e che tutti riconosceranno.

Altro aspetto importante riguarda il disarmo delle milizie, che è un elemento centrale in un Paese dove ci sono molte più armi che persone. E dove le milizie sono una realtà diffusa che ha segnato gli attuali e i precedenti combattimenti. Tra l’altro aspetto che diventa ancora più importante dopo che dalla bozza, pur confermando la volontà di monitorare l’embargo sulle armi, è stato eliminato il passaggio in cui sarebbero stati condannati coloro che li rifornivano dall’esterno…

Anche sul disarmo c’è una legittimazione dell’Lna (l’acronimo sta per Libyan national army, definizione ambiziosa con cui Haftar ha sempre indicato la sua milizia, chiamandola come un esercito per spingere la narrazione. Ndr). Non viene mai citato esplicitamente, nonostante sia una milizia che fa da base della componente armata haftariana. Si parla sempre e solo di milizie che vanno disarmate sottintendendo quello della Tripolitania.

Perché? Cosa significa?

Leggendo tra le righe possiamo immaginare che saranno quelle truppe che faranno da colonna vertebrale al nuovo esercito libico. Lo scioglimento delle milizie farà sì che le forze armate della Libia si ricostituiranno attorno al nervo centrale dell’Lna.

Dunque, se Haftar esce così vittorioso dall’accordo di Berlino, perché anche oggi assistiamo alla chiusura di altri due campi pozzi? Contesto per chi legge: la compagnia locale Noc ha dovuto bloccare la produzione dei campi di El Sharara ed El Feel (che è gestito dall’Eni, per altro), dopo che l’Lna hanno chiuso un oleodotto che le collegava. Perché Haftar continua questo genere di azioni, iniziato da ieri con quella che sembrava una leva per far saltare tutto il processo in corso in Germania?

Haftar si sente forte, si sta posizionando, sta strangolando Tripoli. Cerca di premere sull’acceleratore e dice a tutti “attenzione che vi posso fare molto male”. Non si tratta di strategia, sono manovre tattiche per aumentare il pressing. Poi ha creato una cortina di disinformazione attorno quel che è successo dicendo che sono state le tribù, il popolo, a decidere di chiudere i pozzi e che i suoi uomini sono lì soltanto per evitare che succedano problemi di sicurezza.

Parliamoci chiaramente: la Conferenza di Berlino, ha la possibilità di avviare un percorso reale di stabilizzazione? C’è concretamente la possibilità che venga accettato da tutti, su tutti e due i fronti, che si fermino le armi, la Libia riparta e si possa pensare a un futuro a lunga gittata per il paese?

Sono molto scettico. Ho molta poca fiducia che le cose miglioreranno. Temo che i combattimenti possano riprendere nel giro di poco tempo. E molto dipende tra l’altro da un’incognita grossa: cosa farà Misurata (si tratta di una città-Stato qualche dozzina di chilometri a est di Tripoli che finora ha concesso protezione politica e militare al Gna di Serraj. Ndr).

Chi vince e chi perde di tutta la serie di attori esterni che si sono mossi attorno al dossier?

Egitto ed Emirati Arabi vincono, perché sono riusciti a imporre a tutti il loro uomo. Premesso che non è tanto Haftar la questione, ma è l’avvio di un processo che includa Haftar e che si sposti su quel lato: diciamo che Serraj viene sacrificato oggi, poi toccherà ad Haftar. Però ci sarà da capire se a fronte di questo anche sul campo, come detto prima, le cose andranno lisce. Perché con l’ingresso nella crisi della Turchia (che si è schierata militarmente al fianco di Serraj, ndr) qualcosa è cambiato, e temo che i turchi non si fermeranno.

E l’Italia?

Per come la vedo esce sconfitta. Al di là che si possa decantare un successo diplomatico, l’Italia in Libia ha perso influenza, aveva una posizione di predominio ma non ha saputo difendere i suoi interessi. Se dovesse allinearsi dietro ad Haftar sarebbe uno dei tanti sponsor, forse l’ultimo della lista.

 

Da Berlino un passo avanti. Ma non basta. L’analisi di Mezran (Atlantic Council)

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