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Forse le scelte più coraggiose vanno prese nei momenti più difficili. E il fisco non fa certo eccezione. Lo stop all’Irap incastonato del decreto Rilancio è una mano santa per le imprese. Ma perché non pensare in grande, una volta tanto. Per Nicola Rossi, economista e docente a Tor Vergata, l’occasione c’è tutta.

Rossi, il governo ha abolito l’Irap, pro-tempore ovviamente. Mossa saggia?

Se non c’è fatturato non c’è Irap (se non per i fortunati che non sono stati colpiti). Quindi, tanto per cominciare sarebbe stato opportuno cassare acconto e saldo 2019 e non già saldo 2019 e acconto 2020. A parte questo dettaglio, sì. Sarebbe proprio questo il momento per una complessiva riforma fiscale, ma…

Ma?

Una politica pericolante, è un’osservazione e non un giudizio, che esaurisce le sue non abbondanti energie più nel mantenersi in vita che non nel dare una direzione al Paese, può mai essere in grado di impostare una riforma cruciale come la riforma fiscale? Mi permetto di avere qualche dubbio.

L’Italia del dopo Covid sarà un Paese forse diverso: nell’industria, nella domanda, nei bisogni. Possibile immaginare un fisco aggiornato al Paese che verrà?

In linea di principio, certamente, penso anche che andrebbe mutata la prospettiva. Oggi bisognerebbe far partire la riforma fiscale dalla tassazione delle imprese. L’obiettivo primario dovrebbe essere quello di consentire alle imprese di irrobustirsi e crescere e di tornare a investire. Strutturalmente. Con le proprie forze o con quelle degli imprenditori. Trasformando, ad esempio, l’Ires in una imposta sui soli utili distribuiti. Non si tratterebbe di non tassare le imprese ma di rinviare il momento della tassazione al momento della distribuzione degli utili.

Oltre all’Ires, quali altri principi ispiratori per un nuovo fisco?

Bisognerebbe cogliere poi l’occasione per liberare famiglie ed imprese dal peso che due crisi epocali in dieci anni hanno comportano. Insisto sul fatto che nei bilanci delle imprese ci sono crediti illiquidi ed inesigibili verso il fisco derivanti dalle perdite registrate in occasione della crisi finanziaria e oggi destinati a crescere. Andrebbero resi liquidi, esigibili ed utilizzabili in compensazione a fronte di ogni pendenza fiscale passata o presente. Ovviamente non sarebbe un condono.

Nel decreto Rilancio c’è traccia di tutto questo?

Il decreto Rilancio fa un passo timidissimo e incerto in questa direzione. Ma chiaramente siamo molto lontani dall’obbiettivo.

Si parla molto in questi giorni di ritorno dello Stato nell’economia. Addirittura qualcuno rievoca il vecchio  Iri, stile prima Repubblica. Pulsioni vintage o vera possibilità, visto il momento?

Mi sembra una prospettiva molto concreta, data l’impostazione culturale della maggioranza. Pochi lo hanno notato ma nel decreto Rilancio ci sono nuove assunzioni nella scuola e nell’università, oltre alla previsione di qualche decina di ulteriori consulenti ed esperti nella Pa.

E questo cosa significa?

Pochi lo notano, ma dopo l’emergenza ci ritroveremo con un bilancio pubblico non solo cresciuto come dimensioni ma con ogni probabilità ancora più ingessato dalla crescita della spesa corrente. Naturalmente è legittimo che una maggioranza parlamentare persegua i suoi obbiettivi. Personalmente temo che l’esperienza del passato stia lì a dirci però che su questa strada il Paese non cresce.

Rossi un suo giudizio sul decreto Rilancio. Aspirina o cura da cavallo?

Né l’uno né l’altro. Piuttosto una sommatoria non sempre logicamente ordinata di misure disparate. In passato, i vincoli europei erano lo scudo dietro il quale i presidenti del Consiglio ed i ministri dell’Economia si trinceravano per evitare che provvedimenti come questo vedessero la luce. Saltato il vincolo una politica debole non è stata in grado di respingere l’assalto dei ministeri, delle correnti e delle lobby. Non è un giudizio ma una semplice constatazione.

Insomma, senza lodi e senza infamia…

Il decreto con il rilancio ha molto poco a che fare. Aiuta il Paese a tenersi in piedi, con fatica, ma a caro costo e senza indicarci alcuna via d’uscita.

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