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Si è aperta questa mattina in modalità virtuale l’Assemblea mondiale della Sanità, organo decisionale dell’Organizzazione mondiale della sanità dove partecipano 194 Stati membri. Una assemblea che si tiene mentre la pandemia del nuovo coronavirus è ancora pienamente in corso, e in un clima di grande tensione tra la Repubblica popolare cinese e gli Stati Uniti d’America. Due i temi previsti di scontro annunciato: l’ammissione di Taiwan come Paese osservatore e la richiesta di un’indagine indipendente internazionale sulle origini e la gestione della pandemia. Due questioni che avevano già nelle settimane scorse creato una lunga serie di incidenti diplomatici con gli ambasciatori “guerrieri lupo” di Pechino nonché delle espresse minacce di ritorsioni economiche contro i paesi che si erano espressamente schierati a favore di tale richieste. 

Ma già durante le prime ora dell’incontro si sembra essere giunto a un compromesso politico che allieva le pressioni montanti sulla Repubblica popolare cinese. Poco primo dell’inizio dell’Assemblea infatti, Joseph Wu, ministro degli Esteri di Taiwan, ha annunciato che “a seguito dei suggerimenti dei Paesi alleati e delle nazioni affini” non avrebbe proseguito la sua domanda di accedere all’Oms in quanto osservatore. Tuttavia, il ministro dell’isola che ha gestito la pandemia in modo esemplare e che è esclusa dalla partecipazione ai lavori dell’Oms dal 2016 per veto della Cina, ha espresso “profondo rammarico e forte insoddisfazione” per il fatto che il segretariato dell’Oms “ha ceduto alle pressioni del governo cinese”.

È evidente però che i paesi alleati e affini di cui parla Wu, hanno preferito in questa occasione dare precedenza all’arduo compito di creare un consenso intorno alla richiesta di “avviare, al primo momento opportuno, e in consultazione con gli Stati membri, un processo graduale di valutazione imparziale, indipendente e completa, usando anche i meccanismi esistenti, se appropriati, per riesaminare l’esperienza acquisita e le lezioni apprese dalla risposta coordinata di salute internazionale dell’Oms alla Covid-19, comprendendo l’efficacia dei meccanismi a disposizione dell’Oms, il funzionamento del Regolamento sanitario internazionale (Rsi) e lo stato di attuazione delle raccomandazioni pertinenti dei precedenti Comitati di revisione dell’Rsi, il contributo dell’Oms ai più ampi sforzi delle Nazioni Unite, le azioni dell’Oms e la loro tempistica riguardo alla pandemia di Covid-19, e formulare raccomandazioni per migliorare la prevenzione, la preparazione e la capacità di risposta, anche attraverso il rafforzamento, se utile, del Programma di emergenza sanitaria dell’Oms”.

La bozza di risoluzione contenente tale proposta è stata co-presentata dall’Unione europea e l’Australia, ed è sostenuta al momento da 122 Stati membri, inclusi i 54 Stati africani e altri Paesi ritenuti vicini alla Cina come Indonesia e la Federazione russa. La mozione, che dovrebbe andare al voto martedì mattina, deve raccogliere il voto favorevole di due terzi dell’Assemblea per passare.

Sembra ormai evidente che tale scoglio verrà raggiunto, soprattutto grazie all’assenza di qualsiasi riferimento diretto alla Repubblica popolare cinese o a Wuhan, la città dove è scoppiata la pandemia mondiale, rassicurando in tal modo i Paesi storicamente o strategicamente allineati con Pechino sulla linea della non-ingerenza negli affari interni di poter sostenere una proposta che – per quanto non era e non è scontata la sua approvazione – rimane piuttosto vaga nei termini concreti ed evita appunto di nominare direttamente o indirettamente la Repubblica popolare cinese. 

Infatti, nonostante gli sforzi diplomatici seguiti a una prima iniziativa dell’Australia, soprattutto da parte dell’Unione europea, gli Stati Uniti non sono tra i firmatari. La posizione di Washington rimane esplicitamente accusatoria nei confronti di Pechino in particolare per quanto riguarda la tempestività e completezza delle informazioni e il ruolo che l’Oms possa aver giocato nel coprire Pechino. 

Tuttavia, la pressione – anche dal pubblico all’interno di tanti Stati membri – è talmente alta, e il linguaggio attualmente proposto abbastanza vago che il presidente Xi Jinping, intervenendo in videoconferenza, ha evitato di parlare direttamente della risoluzione proposta, ma ha tuttavia annunciato che “la Cina sostiene l’idea di una revisione completa della risposta globale a Covid-19, dopo che sarà stata messa sotto controllo, per riassumere le nostre esperienze e affrontare le carenze”, ribadendo però la priorità di mettere innanzitutto sotto controllo la diffusione della pandemia. Ha sottolineato che tale indagine deve essere condotta in modo “obiettivo e imparziale” e ha affermato che Pechino donerà 2 miliardi di dollari all’Oms per aiutare la risposta globale allo scoppio.

Appare come un retromarcia importante rispetto agli attacchi durissimi delle ultime settimane nei confronti dei Paesi che avevano apertamente parlato della necessità di un’indagine indipendente, in primis l’Australia. Infatti, nei giorni scorsi Pechino aveva attaccato duramente l’iniziativa parlando di comportamento “altamente irresponsabile” da parte dell’Australia, la cui risoluzione rischia di “danneggiare la cooperazione internazionale nella lotta contro la pandemia e va contro le aspirazioni condivise dei popoli”.

Ma evidentemente l’insieme della pressione crescente di un gruppo di Paesi a sostegno sempre maggiore, nonché il testo altamente ammorbidito ha fatto cambiare idea a Pechino. Inoltre, anche l’Oms, attraverso il suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che avvierà una valutazione indipendente non appena opportuno, aggiungendo che si esaminerà la responsabilità di tutti gli attori in buona fede. Il più grande fallimento, ha detto, sarebbe non cercare di imparare le lezioni.

Vanno rimarcate innanzitutto le naturali perplessità circa la tempistica per l’avvio di tale indagine che dal linguaggio sembra venir rinviata a quando la pandemia non sarà sconfitta, mentre sappiamo che per quanto riguarda un’indagine scientifica nelle origini del virus tali tempi possano risultare incongrui e che in realtà un’indagine nazionale è già in corso all’interno della Cina, escludendo però la partecipazione dell’Oms in loco, come denunciato dal Rappresentante dell’Organizzazione il 1° maggio scorso, che aveva definito l’indagine in loco circa le origini “una priorità assoluta”. 

Inoltre, le precedenti inchieste dell’Oms sulle pandemie del passato sono state dure, ma tendevano a evitare le critiche sui singoli paesi. Visto che una parte importante delle critiche espresse in questi mesi da diversi Stati membri riguardano proprio il ruolo che l’Oms possa aver giocato nel coprire gli errori e gli sforzi di insabbiamento di Pechino, questo punto non è secondario, ed è sicuramente in quell’ambito che dobbiamo leggere la promessa di ulteriori contributi dedicati dalla Cina all’Oms che per Xi Jinping “dovrà guidare l’indagine”. Allo stesso modo, nel suo discorso Xi Jinping ha chiaramente e ripetutamente fatto riferimento ai Paesi africani – che ultimamente avevano spesso sostenuto la Cina all’interno dell’Onu, ma le istanze di razzismo all’interno della Cina durante la pandemia hanno inacidite un po’ le relazioni – evidenziando quanto il suo Paese stava facendo per aiutare il continente a sviluppare i suoi sistemi sanitari e rompere le catene del debito.

Infine, il presidente cinese ha ribadito come il suo Paese abbia agito in maniera “trasparente, responsabile e pronta” nella sua risposta alla pandemia di coronavirus, condividendo informazioni con gli altri Paesi. “In Cina, dopo aver compiuto enormi e dolorosi sacrifici, abbiamo cambiato il corso della pandemia e protetto le vite e la salute del nostro popolo. Abbiamo agito con apertura, trasparenza e responsabilità”, ha spiegato Xi sottolineando che tutte le informazioni sono state condivise con la comunità internazionale “tempestivamente”.

Ci permettiamo su queste affermazioni di sottolineare ancora un volta quanto tale affermazioni, sulla base delle informazioni pubbliche disponibili – spesso da fonti statali cinesi stessi -, sembrano poco credibili. Per esempio, le ricostruzioni temporali indicano in particolare la presenza di spinte esterne ad ogni comunicazione significativa da parte delle autorità cinesi verso la comunità internazionale: in particolare riguarda la notifica originale all’Oms in data 31 dicembre 2019 se tale vi è stata da parte del regime cinese, le azioni intraprese a partire dal 14 gennaio a seguito del primo caso identificato all’estero (Thailandia, 13 gennaio), e la comunicazione della trasmissibilità da uomo a uomo il 20 gennaio in contemporanea con la visita preliminare di una squadra di esperti dell’Oms all’aeroporto di Wuhan Tianhe, l’ospedale di Zhongnan a Wuhan, e il Centro provinciale per il Controllo delle Malattie dell’Hubei.

Sono solo brevi accenni delle ragioni per cui qualsiasi indagine non solo non può essere rinviata a oltranza, ma per cui soprattutto si dovrà vegliare sulla vera tenuta imparziale e obiettiva di questa eventuale indagine, affinché il politicamente corretto non scagiona Pechino dalle sue gravi responsabilità nei confronti del suo popolo e del mondo intero. 

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