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Il terrorismo di matrice islamica resta una delle principali minacce alla sicurezza internazionale anche perché i gruppi jihadisti si stanno consolidando in Africa: la Libia, il Sahel come “potenziale epicentro del jihad globale” e il Kenya nel mirino qaedista sono le aree più preoccupanti. La relazione annuale dell’intelligence al Parlamento racchiude come sempre una fotografia di quanto accaduto nell’anno precedente e attira l’attenzione su aree di cui si parla meno come i Balcani. L’immigrazione e il rischio foreign fighter aggiungono pepe al tutto.

IL JIHAD IN AFRICA

La crisi libica è naturalmente di primaria importanza e si sta sviluppando attraverso tre piani, come ha spiegato il direttore del Dis, Gennaro Vecchione: il piano interno politico-ideologico tra Tripoli e la milizia di Misurata da un lato e le forze di Khalifa Haftar dall’altro; quello sottotraccia delle milizie e tribù che cercano un proprio spazio; quello regionale e internazionale divenuto prevalente negli ultimi tempi il “gioco di sponda” (così è definito) tra Mosca e Ankara e l’aggiunta della presenza cinese in Africa. Dunque, mentre in tante aree del Nord Africa sono riprese proteste di piazza e c’è un ricambio generazionale, resta forte la radicalizzazione di stampo jihadista. I Servizi, nel difendere gli interessi nazionali, monitorano i mercenari stranieri che affluiscono in quelle aree e le nuove rotte che passano per il Sudan e che potrebbero essere utilizzate dai combattenti del teatro siro-iracheno per stabilizzarsi nei deserti della Libia meridionale.

IL RISCHIO SAHEL

La relazione non usa mezzi termini e definisce l’area del Sahel come “potenziale epicentro del jihad globale”. Formazioni leale all’Isis e quelle qaediste del cartello Jnim, Jamaat Nusrat al Islam wal Muslimin, hanno aumentato l’attività anche con sinergie, finanziandosi con traffici illegali e raccogliendo sostegno dalle fasce più marginalizzate. Mentre la situazione libica indebolisce tutto il Maghreb, nell’area sahelo-sahariana c’è una contaminazione tra organizzazioni criminali e gruppi jihadisti. Anche il Kenya è a rischio perché si conferma il principale obiettivo qaedista. L’intelligence continua a operare a supporto del contingente italiano in Iraq dove l’Isis mantiene cellule ben addestrate in particolare nella parte nord-occidentale.

L’ISIS SEMPRE VIVO

La relazione conferma che l’Isis è tutt’altro che morto dopo la sconfitta militare sul terreno: un conto è che non esiste più un Califfato vero e proprio, un altro è che esso resta “un fine”, come ha detto Vecchione, nella costante ambizione di essere considerato il riferimento ideologico del jihad: “La portata eversiva della formazione resta elevata e, come già accaduto per al-Qaeda, destinata a sopravvivere alla morte del suo leader fondatore”. Continua a ispirare i militanti, a dispensare consigli pratici per attaccare i “crociati”, consolida le strutture clandestine e agisce seguendo le indicazioni di Abu Bakr al Baghdadi nel video-messaggio del 29 aprile scorso quando incitava a una “guerra di logoramento” nel Levante e in Africa.

IL PROBLEMA FOREIGN FIGHTER

Il costante scambio di informazioni tra agenzie di intelligence e forze dell’ordine all’interno del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, oltre che con Forze armate e ministero degli Esteri, riguarda spesso i combattenti di ritorno che sono tuttora nei campi in Iraq e Siria che la comunità internazionale non sa ancora come affrontare: numeri approssimativi, pericolo di fughe, interi nuclei familiari da gestire. Ci sono donne “irriducibili” e minori nati in quelle condizioni tanto che la relazione parla dell’urgenza di percorsi di “disintossicazione” per evitare un passaggio di testimone alle nuove generazioni. Una novità lessicale al posto di deradicalizzazione, dunque, che non cambia la necessità che l’Europa prenda di petto un problema non più rinviabile.

MINACCE IN EUROPA E FRONTE ITALIANO

I rischi in Europa sono soprattutto endogeni, tra lupi solitari e facilità di reperimento di mezzi per attacchi. Il jihad digitale è al centro della radicalizzazione dei soggetti più permeabili, un uditorio molto vasto che si nutre di un Califfato virtuale. La prevenzione in Italia tiene conto di processi di radicalizzazione individuali e di proselitismo, di possibili ritorsioni da parte dell’Isis e di propaganda che istiga all’attacco. In questo quadro c’è grande attenzione al possibile ripiegamento in Italia di combattenti in fuga da teatri di guerra e all’attività di proselitismo nelle carceri, che in passato ha portato anche all’espulsione dei soggetti più pericolosi. C’è attenzione nei confronti dei Balcani per la presenza di circuiti estremisti, di organizzazioni criminali che hanno agganci anche in Italia e come rotta di possibile passaggio per i foreign fighter, un “jihad di ritorno” che può godere di storiche presenze oltranziste permeabili al messaggio jihadista.

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

Secondo l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nello scorso novembre in Libia c’erano 600mila migranti. Nella relazione dell’intelligence si sottolinea che la guerra ha indebolito i controlli e ha fatto chiudere alcuni centri di raccolta, rendendo molto complicata la gestione delle persone che continuano ad arrivare dal Sud. Veri e propri network criminali gestiscono i flussi migratori clandestini e l’instabilità ha portato a sbarchi autonomi anche dalla Libia e non più solo dalla Tunisia o dalle coste tra Turchia e Grecia.

L’EVERSIONE INTERNA

Infine un accenno all’anarco-insurrezionalismo che può manifestarsi con “proiezioni offensive imprevedibili” e che usa il sabotaggio di linee ferroviarie come prassi preferita. I temi degli anarchici restano l’antimilitarismo, l’ambientalismo, il no al dominio tecnologico, il cambiamento climatico come contrapposizione tra l’imperialismo occidentale e gli sfruttati del Terzo mondo. Sul fronte dell’estremismo di destra, mentre nel mondo si sono verificati numerosi episodi di violenza neonazista, in Italia c’è “una nebulosa di realtà skinheads e aggregazioni minori” che si concentra contro l’immigrazione, il multiculturalismo e le istituzioni europee.

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