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Il coronavirus è un’emergenza globale, come ha ricordato l’Organizzazione mondiale della sanità e come sta emergendo dalla diffusione di Covid-19 in Italia.

Se la Cina non avesse adottato misure drastiche e non avesse condiviso la sequenza genica del virus e le informazioni sull’epidemia cooperando con l’Organizzazione mondiale della sanità e il Global Outbreak Alert&Response Network, e se di conseguenza la stessa Oms non avesse stabilito protocolli globali per affrontare l’epidemia, oggi potremmo trovarci di fronte ad una situazione molto più grave e drammatica. Grazie alla cooperazione internazionale, ed al rafforzamento della Organizzazione mondiale della sanità, sarà possibile affrontare e in larga misura prevenire la diffusione dell’epidemia nei paesi più poveri e in particolare dall’Africa.

Ma sarà certamente necessario un ulteriore sforzo finanziario ed organizzativo su scala globale, diversamente da quanto avvenne dopo la fine dell’epidemia Sars: nonostante quanto auspicato, non fu dato seguito al rafforzamento dei programmi di ricerca e monitoraggio sulle malattie infettive attraverso la creazione di un network globale di centri di ricerca e sperimentazione anche per lo sviluppo dei vaccini e dei farmaci.

Ma coronavirus è un’emergenza globale non solo per gli effetti sulla salute ma anche e – in prospettiva – soprattutto per le conseguenza sull’economia. Il presidente Xi Jinping, parlando ieri ad oltre 170 mila funzionari pubblici ha detto che la Cina sta affrontando la più grande sfida sociale ed economica dopo la Fondazione della Repubblica nel 1949, ha riconosciuto che è necessario “imparare dagli errori” e introdurre i cambiamenti necessari, ed ha ricordato le misure già attuate e quelle in corso per rafforzare l’economia estendendo la domanda interna e rafforzando la struttura industriale e produttiva anche per dare continuità alla cooperazione tra la Cina e le altre economie. Whuan non è uscita dall’emergenza ed è ancora in quarantena, ma i dati suggeriscono un miglioramento della situazione nel resto della Cina e dunque è concreta la possibilità che le misure annunciate dal Presidente Xi possano iniziare a dare risultati nel breve periodo.

Nelle stesse ore dell’intervento del presidente Xi, l’Italia stava assumendo misure severe e impegnative che ricordano quelle cinesi: basti pensare al blocco del Carnevale di Venezia, alla cancellazione di eventi pubblici compresi quelli religiosi e le partite di calcio, alla chiusura di chiese e musei, alle fiere internazionali rinviate a Milano e a Roma. E intanto la borsa di Milano e le altre borse europee registrano perdite rilevanti che riflettono da un lato la paura di un aggravamento della interruzione della “catena” di forniture e di integrazione tra imprese europee e cinesi anche per effetto del coronavirus in Italia ed in altri paesi europei, e dall’altro la previsione del crollo del turismo cinese. Questi dati indicano nello stesso tempo sia un possibile “cambio di passo” della Cina nella sua organizzazione interna e nella ripresa della sua economia, sia una grande incertezza sul futuro prossimo dell’Europa.

I teorici e “tifosi” di “de-globalization and economic decoupling” (vedi Gordon Chang su Business Insider del 22 scorso) si aspettano una “fuga” delle industrie dalla Cina ed un forte indebolimento dell’Europa. Questo sarebbe un “salto nel buio” con prospettive di conflitti piuttosto che di sviluppo. Al contrario, le emergenze globali richiedono misure globali. Oggi è necessario rafforzare la cooperazione internazionale e adottare standard comuni, sia per la protezione della salute e dell’ambiente che dipendono sempre di più da agenti e fattori globali, sia per favorire l’integrazione di cicli e prodotti dalla quale dipende lo sviluppo equilibrato e sostenibile.

Questa è la prospettiva nella quale è auspicabile che l’Europa collochi sia le misure “interne” per controllare l’epidemia e sostenere l’economia,  sia quelle per la cooperazione internazionale : la preparazione del China-Eu Summit del prossimo settembre può essere l’occasione.

Dal coronavirus alla cooperazione globale. La via d'uscita secondo Clini

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