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Quasi un anno fa, il 23 gennaio del 2019, il regime di Nicolás Maduro sembrava agli sgoccioli. La nomina di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, come previsto dall’articolo della Costituzione che stabilisce che sia il presidente del Parlamento a guidare il Paese in caso di vuoto di potere, si presentava come una strada percorribile per uscire dalla crisi.

Ormai però il sogno è svanito. È passato quasi un anno, ma nulla è cambiato. Anzi, per i venezuelani la situazione è peggiorata. L’inflazione è alle stelle e la dollarizzazione dell’economia, persino ammessa dallo stesso Maduro come una forma di “valvola di fuga”, ha reso impossibile fare le spese più basiche per la sopravvivenza.

Senza dubbi questo quadro ha intaccato la leadership di Guaidó, l’uomo che doveva rappresentare la salvezza di un intero Paese. Secondo Efecto Cocuyo, uno dei pochi siti d’informazione indipendente rimasti in Venezuela, all’interno dell’opposizione venezuelana le acque si stanno muovendo contro il giovane politico: “Alcuni parlano di ribellione, altri di ricatto ai deputati che non votino per la rielezione di Juan Guaidó come presidente dell’Assemblea Nazionale. L’operazione che cerca di spodestare il leader di Voluntad Popular (il suo partito, ndr) è stata battezzata (operazione Alacrán – scorpione) e dal partito arancione sostengono che sono offerti fino a un milione di dollari per voto”.

Il 5 gennaio del 2020 i parlamentari venezuelani dovranno scegliere i nuovi dirigenti. Per garantire la leadership di Guaidó, i partiti di opposizione hanno scelto di rompere l’accordo di governabilità sottoscritto nel 2016 per rieleggerlo, consapevoli che è lui il volto dell’opposizione al regime riconosciuto a livello internazionale da più di 50 Paesi.

Tuttavia, qualche giorno fa è apparsa una crepa nell’unità dell’opposizione. Un’inchiesta del sito Armando.Info ha svelato che i deputati José Brito e Adolfo Superlano  sono coinvolti in un caso di malversazione di fondi per gli aiuti umanitari.

A guardare i numeri è poco probabile che Guaidó perda. I quattro partiti con più potere e numero di parlamentari, conosciuti come il G4, sono i suoi alleati. Il regolamento del Parlamento prevede che vince chi ha la maggioranza assoluta, cioè, la metà più uno. Il 5 gennaio 2020, dunque, Guaidó avrà bisogno di 66 voti, mentre il G4 ha 89 deputati.

Ma in Venezuela tutto può accadere. Il politologo Óscar Vallés crede che la rielezione di Guaidó non sia assicurata: “Si dice che ci sono 60 parlamentari o di più che sono distanti perché Guaidó non rende conto di quanto fa il suo governo ad interim. Sembra che c’è dissidenza all’interno del G4, con gruppi di critici piccoli. E in più c’è il blocco della dittatura all’interno del Parlamento che farà di tutto per evitare la rielezione di Guaidó”. Vallés sostiene che, anche se Guaidó è una figura riconosciuta a livello internazionale, la sua gestione di quest’anno ha un bilancio negativo.

Non dubitano invece di Guaidó gli Stati Uniti. Durante un incontro diplomatico a Washington ieri, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha chiesto al ministro degli Affari esteri russo, Sergej Lavrov, di riconoscere Guaidó come presidente del Venezuela.

“Quando più resti al potere Nicolás Maduro, più profonda sarà la miseria dei venezuelani – ha dichiarato Pompeo durante la conferenza stampa alla fine dell’incontro -. Abbiamo chiesto al governo russo di sostenere le aspirazioni democratiche e la legittimità del presidente ad interim Juan Guaidó”. Per il segretario di Stato degli Usa, è necessario un nuovo processo elettorale in Venezuela, con elezioni presidenziali “libere e giuste”.

Lavrov, però, ha ribadito che “dovrebbero essere i venezuelani” a guidare il cambiamento nel Paese. E ha ricordato il sostegno della Russia al tavolo di negoziazione tra governo e opposizione ad Oslo. Un’iniziativa molto criticata il cui prezzo ha pagato soprattutto Guaidó. A gennaio si saprà quanto.

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