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Introdotto nel 2008, il payback rappresenta una delle più grandi promesse mancate del servizio sanitario nazionale. Ideato al fine di arginare l’aumento della spesa pubblica farmaceutica, si è rivelato invece un elemento distorsivo della stessa, danneggiando le aziende che producono innovazione. Come riportato Competere, il think tank presieduto da Pietro Paganini, infatti, questo strumento produce un circolo che, anziché virtuoso, si rivela vizioso per le imprese: “Più innovo, più i miei farmaci e le mie terapie vengono impiegate, più soldi dovrò restituire allo Stato centrale e alle Regioni”; una vera e propria “tassa occulta” frutto, si spera involontario, “di una scelta politica scellerata”. Da misura provvisoria, tra l’altro, il payback è in brevissimo tempo entrato di diritto nella struttura ordinaria del sistema sanitario, affossando uno dei pochi settori nazionali che, anche a fronte della crisi economica, non ha mai smesso di crescere.

Nel 2017, infatti, l’Italia ha superato anche la Germania per livelli di produzione, raggiungendo i 31,2 miliardi di euro di prodotto contro i 30 di Berlino. Non solo, negli ultimi 10 anni l’export è addirittura raddoppiato (+100%), sfiorando i 25 miliardi di euro. Nel 2014, poi, mentre tutti i settori arrancavano e generavano disoccupazione, il comparto farmaceutico manifestava un’inversione di tendenza, raggiungendo gli oltre 65mila addetti. Tra il 2014 e il 2018, infine, l’occupazione farmaceutica è aumentata dell’8,6%.

“Uno straordinario successo italiano – secondo Competere – che vede 3.000 nuovi occupati in un contesto di disoccupazione crescente, spese in ricerca e sviluppo duplicate nell’ultimo decennio a fronte di un calo drastico degli investimenti privati e pubblici sta avvenendo nonostante le condizioni e non grazie ad esse. Le scelte politiche infatti, sembrano fatte apposta per scoraggiare questa spinta alla crescita”.

Un’industria, insomma, in grado di trainare l’economia di un Paese ancora troppo spesso stretto tra la morsa di governi instabili e quella di una completa assenza di programmazione a medio e lungo termine. Se c’è una cosa che tiene lontani gli investitori internazionali dal nostro Paese, infatti, come scrive il think tank romano “è il mancato rispetto delle regole del gioco, regole che cambiano troppo spesso e troppo in fretta”. L’incertezza del diritto, infatti, e l’assenza di norme stabili hanno frenato, e franano tutt’oggi, investimenti particolarmente remunerativi in settori-chiave della nostra economia, dalle infrastrutture all’agricoltura fino, appunto, alla sanità e alla farmaceutica.

Il governo giallo-verde, tra l’altro, aveva promosso “un’intesa tra le Regioni e le aziende farmaceutiche per sanare i precedenti contenziosi” e aprire a una nuova fase di “revisione della governance complessiva del sistema”, spiega Competere. Un sistema, insomma, che non remi contro l’innovazione ma che anzi, soprattutto in campo farmaceutico, la governi e ne sappia cogliere le opportunità, sia per il benessere dei pazienti che per il benessere dell’economia nazionale. La stessa ex ministra della Salute, Giulia Grillo, a cui è succeduto poi Roberto Speranza, aveva più volte condiviso l’esigenza di una rimodulazione del sistema e, nel documento in materia di governance farmaceutica elaborato dal precedente governo, si sottolineava la necessità di rivedere le attuali politiche dei tetti di spesa per i farmaci e del payback.

“Come tutte le fasi di stagnazione, anche questa prima o poi finirà”, ricorda il think tank, per cui bisogna prepararsi al meglio, “facendo leva sui nostri punti di forza, alla ricerca di qualche buona notizia su cui costruire progetti e narrazioni nuove”. Urge, dunque “sgomberare il campo dalle residue sacche di incertezza ed aprire una stagione nuova di dialogo e collaborazione tra Istituzioni e mondi produttivi”.

L'idea di Competere per non affondare l'industria del farmaco

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