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Aziende come Zte, Dahua e China Telecom stanno cercando di proporre nuovi standard internazionali sul campo del riconoscimento facciale esercitando un pressing spinto all’interno dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), un organismo delle Nazioni Unite. Lo rivela il Financial Times, che ha ottenuto documenti sottratti sulle attività di queste società cinesi.

Mentre l’Europa e il Nord America hanno standard regolati da meccanismi interni e basati su un substrato di valori e diritti ben preservati e coltivati, perché certe regolamentazioni sono molto delicate nel rispetto della privacy dei privati cittadini, i paesi di Africa, Asia e Medio Oriente sfruttano gli indirizzi forniti dall’ITU come quadro generale su cui basare certe attività. E non è un caso se quindicimila telecamere con funzioni di riconoscimento facciale sono state istallate a febbraio in Sudafrica dalla Hikivision di Hanghzou; ad agosto in Uganda è stata la Huawei a fornire una tecnologia simile, così come in Zimbawe.

L’interesse sull’Africa è – anche – tecnico. Il riconoscimento facciale delle persone di colore è un aspetto problematico della tecnologia, e per questo i cinesi – che hanno avviato su tutti i campi dell’Artificial Intelligence una competizione serratissima – sfruttano il contesto per portarsi avanti. La Cina utilizza le sponde che si è creata all’interno di questi – grazie agli investimenti economici – per spingere sui test operativi. Li usa inoltre come offerta ai regimi autoritari locali (un aiuto nel controllo delle masse e dunque delle opposizioni) in cambio di certi interessi.

Tutto possibile perché le normative interne sono più lasche, e se anche l’Itu avrà maglie più larghe il lavoro sarà certamente facilitato in termini di rispetto dei regolamenti. Un quadro che aiuterebbe la Cina a raggiungere con più agilità la leadership globale di un settore tecnologico fondamentale come quello dell’AI. E raggiungere la leadership di certi settori, come nel caso del 5G, serve a sua volta a dettarne gli standard internazionali: un ulteriore rafforzamento operativo e politico.

Commercialmente, inoltre, riuscire a muovere gli standard verso i proprio prodotti, significa garantire alle proprie aziende un aiuto in partenza rispetto agli altri competitor. Il contraccambio politico che la Cina chiede con investimenti in altri paesi è questo: creare sponde per i propri interessi, anche all’interno dei meccanismi internazionali.

Nei giorni scorsi in Cina è entrata in fase operativa una legge con cui le autorità richiedono la scansione facciale per chiunque voglia acquistare un contratto telefonico. È un provvedimento che viene descritto come una misura ulteriore di sicurezza, ma che ovviamente viaggia al limite del controllo governativo sulla popolazione. Telecamere a sensori speciali vengono utilizzate già per le strade id Hong Kong per identificare i manifestanti, tutti: e infatti dall’inizio delle proteste i laser proiettati contro la polizia hanno fatto da marchio di colore tra le proteste. Nello Xinjiang le telecamere vengono utilizzate per segnare i movimenti dei cittadini uiguri, i quali sono sottoposti a un controllo costante e sulla base delle intersezioni degli algoritmi di sorveglianza eventualmente rinchiusi in centri di rieducazione anche preventivi.

Zte, Dahua e China Telecom. Così la Cina pressa l'Onu sul riconoscimento facciale

Aziende come Zte, Dahua e China Telecom stanno cercando di proporre nuovi standard internazionali sul campo del riconoscimento facciale esercitando un pressing spinto all'interno dell'Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), un organismo delle Nazioni Unite. Lo rivela il Financial Times, che ha ottenuto documenti sottratti sulle attività di queste società cinesi. Mentre l'Europa e il Nord America hanno standard regolati da meccanismi interni…

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