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Chi segue le dinamiche mediorientali appunta recenti movimenti da Parigi. Metterli in ordine segna un trend. Giovedì 21 il ministero degli Esteri francese ha condannato con fermezza un attacco missilistico contro un campo profughi siriano nella zona di Idlib, ad al Aqh. Idlib è la provincia nordoccidentale in cui le forze governative hanno spinto i ribelli man mano che liberavano il resto del territorio: vi hanno creato una sorta di riserva di caccia e adesso vogliono spazzare via tutte le opposizioni.

In barba al processo di pace dell’Onu, ai tentativi di trovare una quadra d’interessi tra Turchia e Russia e Iran, alle denunce delle organizzazioni umanitarie che spiegano che in mezzo ai combattenti ci sono milioni di civili, tra cui moltissimi bambini. Alcuni di loro sono stati uccisi nell’attacco missilistico della scorsa settimana; in certe circostanze la riservatezza viene superata dal dolore, le immagini sono state condivise sui social network dai genitori stessi con l’obiettivo di mostrare al mondo cosa sta succedendo nella loro terra, e non rendere inutile quell’atroce sacrificio.

I francesi hanno condannato tanta barbarie prodotta da un missile ben preciso, un Tochka-U ritrovato nei luoghi dell’attacco. È di fabbricazione iraniana, ha come caratteristica quella di comportarsi a frammentazione: prima di centrare il bersaglio lascia cadere altre cariche. Lo hanno fabbricato i sovietici, lo usano i russi e gli iraniani. Forse è arrivato in Siria per mano di questi ultimi, che hanno arricchito di armi le milizie sciite mobilitate per difendere il regime amico.

Il 23 novembre il capo delle policy del Pentagono, John Rood, si è incontrato con il ministro della Difesa francese Florence Parly a Manama (in Bahrein, dove era in corso il Security Dialogue organizzato all’Iiss). I due hanno parlato di Siria e “dell’importanza del supporto internazionale per la sicurezza marittima della regione”, dice il Dipartimento della Difesa Usa. Si riferisce al raggruppamento militare organizzato dagli Stati Uniti per marcare la propria presenza lungo lo stretto di Hormuz, lineamento del Golfo Persico doppiato dalle rotte nevralgiche del petrolio. L’area è stata oggetto di attacchi e sabotaggi, per le quali Washington, Londra (e Parigi con meno veemenza) hanno incolpato gli iraniani e le forze proxy simili a quelle mobilitate in Siria.

All’inizio del mese, un reporter dell’Agence France Press era stato invitato a bordo di una nave militare inglese insieme ad altri colleghi. Si trovava nel Golfo, era parte dello schieramento a guida americana, che l’Iran considera come ostile. Sul ponte c’erano diversi militari dai Paesi che avevano aderito al raggruppamento in termini ufficiali (regni del Golfo, Australia, Uk), ma veniva segnalata la presenza di addestratori francesi.

Il 23 novembre il ministro della Difesa francese ha annunciato che Camp de la Paix, una base aereo-navale emiratina sotto l’Alindien, servirà da hub per una missione europea nel Golfo Persico. Non c’è niente di ufficiale, ma la politica transalpina ha dichiarato alla stampa che potrebbe iniziare già nel prossimo anno, avrebbe il compito di garantire la sicurezza delle navigazioni, e ci sono già dieci Paesi Ue aderenti. Parly ha detto che la prossima volta che visiterà la base vi incontrerà gli ufficiali di quei membri che hanno accettato l’iniziativa francese. Da luglio se ne parla, ma non c’è mai stato niente di concreto: sarebbe una missione indipendente da quella americana, ma praticamente con lo stesso fine.

Il giorno prima, Parly aveva anche annunciato che il suo Paese stava preparandosi a inviare in Arabia Saudita sistemi di intercettazione e di difesa aerea per attacchi a bassa quota, come quelli che hanno colpito i due centri petroliferi sauditi a settembre. Era stata opera dei ribelli yemeniti Houthi, che hanno usato armi iraniane per attaccare. L’Iran dà sostegno militare ai nordisti dello Yemen che sono in guerra con Riad, dopo aver rovesciato quattro anni fa il governo locale. A difesa dell’Arabia Saudita, l’amministrazione Trump ha inviato diverse centinaia di nuovi militari e assetti vari. Si tratta di un sistema di confronto indiretto con l’Iran, nemico saudita e americano.

La Francia è stato il Paese più vocale e rapido tra quelli europei nel criticare a inizio mese le “gravi” – ha detto il presidente Emmanuel Macron – violazioni iraniane del Jcpoa, l’accordo sul congelamento del programma nucleare. Il Jcpoa è stato messo in crisi dal ritiro americano e dalla conseguente reintroduzione delle sanzioni. Teheran critica fortemente le nazioni Ue perché le ritiene incapaci di creare alternative per aggirare le sanzioni Usa. Ma seguendo le posture prese dalla Francia non è chiaro quanto per Parigi ad esempio l’obiettivo sia mantener vivo il Jcpoa rispetto al confronto con l’Iran sulla linea simil-Usa. Ai tempi della costruzione dell’intesa, i delegati francesi erano i più critici e duri con gli ayatollah: a Washington c’era l’amministrazione Obama ansiosa di usare l’Iran Deal come eredità internazionale.

La Francia di Macron diventa anti-Iran. Tattica o strategia?

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