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Il presidente della Bolivia, Evo Morales, ha lasciato il potere. Qualche ora dopo la richiesta di dimissione annunciata dai militari boliviani, a seguito della denuncia dell’Organizzazione di Stati Americani (Osa) di “irregolarità” nelle elezioni del 20 ottobre, Morales ha rinunciato alla presidenza.

Dopo settimane di proteste e molta tensione, il presidente boliviano aveva annunciato un nuovo appuntamento elettorale, con un rinnovato organo elettorale, accusato di brogli da parte dell’opposizione e i comitati civici.

Tuttavia, non sono state necessarie grandi trattative: è bastato il pronunciamento delle Forze armate per accelerare il tutto. Le dimissioni di Morales evidenziano l’esaurimento di un modello, quello socialista bolivariano, e sono la dimostrazione che il potere in America latina dipende ancora dell’esercito.

Con l’addio di Morales, molti dei suoi alleati hanno gridato al colpo di Stato. Tra i primi a dichiararsi solidali con Morales c’è Nicolás Maduro: “È in pericolo la vita di Evo Morales, dobbiamo salvarlo perché i fascisti sono fascisti, con il loro razzismo e odio credono che sia giunto il momento di porre fine alla vita di Evo. […] Alziamo la bandiera della difesa della democrazia in Bolivia, non accettiamo questo colpo di Stato e prendiamoci cura della vita del compagno Evo Morales, che è in pericolo”.

La domanda sorge immediata: perché le dimissioni di Evo Morales siano arrivate più velocemente che quelle di Nicolás Maduro, nonostante la grande pressione internazionale da più tempo?

Rodrigo Diamanti, delegato europeo del governo ad interim del Venezuela di Juan Guaidó, e presidente dell’Ong Un Mundo Sin Mordaza, ha spiegato a Formiche.net questo fenomeno: “C’è stato un indizio dall’inizio. Cuba non controlla le Forze armate in Bolivia e invece lo fa in Venezuela. In Bolivia ci sono Forze armate e polizia istituzionali, mentre in Venezuela il regime si è dedicato, per più di 20 anni, alla disarticolazione sistematica delle Forze armate, addirittura assassinando militari che si ribellano”.

Diamanti sottolinea che non è successo così in Bolivia, dove sono “bastati i pronunciamenti dei militari perché Evo Morales si sia visto costretto a non continuare con la frode elettorale e lasciasse il Paese. I militari devono essere garanti della Costituzione e della democrazia”.

Questo, purtroppo, non accade in Venezuela perché lo Stato funziona come un’organizzazione criminale: “Il gruppo di militari che controlla Venezuela è più simile all’organizzazione narco-terrorista delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), che ai militari boliviani”.

Allora perché le Forze armate in Bolivia non hanno agito? Diamanti considera che non ci sono state proteste di massa, e non c’era un evidente tentativo di Morales di compiere la frode elettorale: “Sono bastati questi due fattori perché i militari si pronunciassero a favore del popolo e della democrazia”.

Con le Forze armate istituzionali venezuelane smantellate, la speranza che resta è la negoziazione, “come chi tratta con un gruppo criminale, per questo è difficile il ritorno alla democrazia in Venezuela. Tuttavia, non perdiamo la speranza e speriamo che la Bolivia ispiri ai venezuelani a continuare nella lotta contro il regime. Alla fine, l’unica battaglia che si perde è quella che si abbandona”.

Il rappresentante di Guaidó ha invitato i venezuelani a partecipare alla manifestazione organizzata per il 16 novembre in diverse città del Venezuela e del mondo.

La fine (veloce) di un regime. Diamanti spiega perché la Bolivia non è il Venezuela

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