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Procedere con la revoca della concessione ad Autostrade, mettere in dubbio la tenuta dell’esecutivo (come è noto una parte significativa del Pd, compresi il ministro alle Infrastrutture Paola De Micheli e il suo sottosegretario Salvatore Margiotta, e Italia Viva non sono convinti che questa sia la soluzione corretta) ed esporre il Paese ad un contenzioso miliardario dagli effetti che ad oggi non possono essere valutati. Oppure chiedere al Movimento Cinque Stelle di fare un passo indietro, optare per la rinegoziazione dei contratti di concessione che dovranno questa volta considerare non solo l’abbassamento della redditività del concessionario, ma dovranno chiarire anche quale sarà il ruolo dello Stato come controllore.

Sulla vicenda Autostrade, Conte e il Contismo si giocano tutto in pochi giorni. Da una parte la risolutezza di una posizione che in qualche modo rende l’attuale presidente del Consiglio, forte anche dell’endorsement progressista del segretario dem, Nicola Zingaretti, il successore naturale di Di Maio a capo del Movimento. Dall’altro una posizione in apparenza più morbida, ma in realtà molto più sottile perché non solo compatterebbe la maggioranza, tenendo a bada le pulsioni populiste dei Cinque Stelle, ma sarebbe l’ennesima conferma di un Conte perfettamente in linea con il ruolo di insider di Palazzo, che media, smussa e prende decisioni che alla fine possono accontentare tutti. Un win win che sarebbe sbagliato considerare e leggere come l’ennesima storia italiana di mediazione, nella quale se vincono tutti a perdere è la pubblica opinione e l’intera comunità.

Le parole del suo tweet di ieri, certamente possono essere interpretate come il preludio una soluzione più drastica della vicenda, ma si sa che per negoziare e portare a casa un risultato occorre alzare la posta in palio. Certamente qualsiasi sarà la decisione di Conte questa volta l’interesse generale dovrà essere prevalente, e questa volta la politica non può subordinare questa prerogativa ancora una volta alla magistratura che deve supplire alla mancanza di chiarezza e di trasparenza che da quasi venti anni connota il rapporto tra lo Stato e i concessionari. Siamo sicuri, infatti, che lo Stato è completamente esente da colpe? Perché i controlli sulle attività di manutenzione sono stati affidati direttamente al concessionario? Perché i contratti sono stati secretati per quasi venti anni?

Lo Stato avrebbe dovuto svolgere i controlli, ma i contratti di concessione sono stati secretati. Perché e in nome di quale principio superiore? Abbiamo conosciuto l’entità della redditività record dei concessionari solo dopo il crollo del Morandi. Anche lo Stato quindi ha le sue responsabilità. Avrebbe dovuto tutelare l’interesse generale, ma la sua condotta non è stata improntata alla tutela dell’interesse pubblico.

Toccherà al presidente del Consiglio Conte decidere cosa fare, ma un punto appare incontrovertibile: revocare una concessione, seppure alla presenza di evidenti inadempienze e carenze sotto il profilo del management (la lettera di Luciano Benetton ai media a riguardo è stata chiara), non è un passaggio facile e indolore.
Altrimenti, visto che la componente grillina degli esecutivi Conte 1 e 2, ne parla con insistenza dal 14 agosto 2018 (giorno del crollo del Ponte Morandi) poteva essere autorizzata e decisa già da tempo. Ma al di là delle parole ad oggi la politica non ha saputo fare altro.

Già nel 2006, peraltro, la Ue ha sancito che i contratti di concessione non sono modificabili in modo unilaterale e i grandi azionisti di Autostrade (tra cui il fondo sovrano di Singapore e il Fondo cinese Silk Road) sono pronti a scrivere al vicepresidente Ue Vladis Dombrovskis e ai Commissari Ue alla concorrenza Margharete Vestager e al mercato interno Breton per chiedere conto della eventuale revoca del governo italiano. Ci sono stati errori ed è giusto che le indagini accertino le responsabilità del privato e del pubblico. Le inadempienze sono evidenti. Ma proprio per questa ragione, e in nome del buon senso, presidente Conte e ministro De Micheli occorre lavorare per trovare un punto di equilibrio e di incontro, ed evitare posizioni che mirano al consenso di breve periodo. La mia preoccupazione, infatti, è che se i toni continuano a farsi più aspri (e la revoca inevitabilmente accelererà questa fase), sarà difficile arrivare a breve ad una soluzione sulle autostrade italiane nonostante il passaggio temporaneo della gestione all’Anas, infrastrutture che nel frattempo sono diventati degli ostacoli e degli impedimenti per i cittadini e alle imprese.

Autostrade, perché la revoca ci può dire molto sul futuro di Conte

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