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Che fine farà il petrolio siriano dopo l’accordo tra Ankara e Mosca? Mentre la Turchia si atterrà alla sua nuova zona cuscinetto nel nord della Siria e i curdi potranno ritirarsi, i 2,5 milioni di barili di greggio a nord dell’Eufrate (finiti nel frattempo nei tweet di Trump) da chi verranno sfruttati?

Assad non attaccherà i turchi, che hanno combattuto il regime in collaborazione con i ribelli siriani, ma la zona di fatto rappresenta il cuore pulsante dei combustibili fossili della Siria, con una serie di riverberi di natura finanziaria e geopolitica.

PETROLIO

Sarà Assad a controllarlo, con la Russia beneficiario dei diritti esclusivi per sfruttare il petrolio siriano? Fatta eccezione per la la provincia di Idlib, che è invasa dai ribelli siriani, Assad è riuscito a riprendere il controllo al di fuori della parte nord-orientale. Lì, a nord dell’Eufrate, si trova anche la maggior parte delle riserve petrolifere del Paese. Ma Assad, al netto del suo potenziale indebolimento post guerra civile, è player accreditato per quel greggio. Non va dimenticato che all’inizio dello scorso anno, mercenari paramilitari russi e forze pro-Assad avevano attaccato un giacimento petrolifero vicino a Deir al-Zour. Ma un gruppo di marines statunitensi contribuì a respingere l’attacco. Lecito chiedersi: nel prossimo futuro esiste il rischio che si sviluppino altri scontri per la supremazia in quel territorio ricco di greggio?

SOCHI

Qualche giorno fa il presidente americano Donald Trump, commentando l’accordo di Sochi, ha detto di voler lavorare con i curdi “in modo che abbiano un po’ di soldi, in modo che abbiano un certo flusso di cassa”. Aggiungendo che è allo studio la possibile presenza in quel fazzoletto di Siria di una delle maggiori compagnie petrolifere Usa. Per cui, come sostenuto da alcuni media americani, gli Stati Uniti hanno elaborato un piano per inviare truppe e carri armati a guardia dei giacimenti petroliferi orientali della Siria proprio durante le fasi del ritiro dal nord del Paese.

Nello specifico almeno 30 dovrebbero essere i carri armati a supporto della milizia appoggiata dal Pentagono, chiamata Sirian Democratic Forces e dominata dalle Unità di protezione popolare curda.

DOPO IL RITIRO?

È di tutta evidenza come il ritiro completo delle forze statunitensi potrebbe richiedere settimane e non giorni. Per questa ragione i presidi rimasti nelle città che si trovano vicino ai giacimenti petroliferi avranno proprio il compito di evitare che jihadisti se ne impossessino. Lo ha confermato il segretario alla difesa, Mark Esper, secondo cui “in questo momento, il presidente ha autorizzato che alcuni sarebbero rimasti nella parte meridionale della Siria e stiamo cercando di mantenere alcune forze aggiuntive per negare all’Isis l’accesso a questi campi petroliferi chiave”.

SCENARI

“Abbiamo preso il controllo del petrolio in Medio Oriente”, ha affermato il presidente Trump commentando giorni fa la gestione dei movimenti di truppe statunitensi fuori dalla Siria. Aggiungendo: “Ne abbiamo il controllo da parte degli Stati Uniti”. In precedenza in alcuni tweet il presidente aveva cinguettato di voler “assicurare il petrolio”, ma senza spiegare nel dettaglio in senso di quelle parole, ovvero se si riferissero davvero al controllo dei giacimenti di petrolio e gas a Deir Ezzor.

EQUILIBRI

Gran parte del petrolio siriano è stato controllato dalla Sdf sostenuta dagli Stati Uniti. Prima della guerra, la Siria produceva 387mila barili di petrolio al giorno, di cui 140mila venivano esportati.

Si tratta di giacimenti molto redditizi concentrati principalmente nel nord e nell’est del Paese vicino al suo confine con l’Iraq. Non va dimenticato che recentemente nel Mar Mediterraneo sono state individuate navi iraniane sospettate di consegnare petrolio in Siria, ma Teheran ha sempre negato.

Di fatto l’Isis ha guadagnato parecchio da questo business: nel 2015, il Dipartimento del Tesoro ha stimato che il gruppo guadagnava circa quasi 500 milioni di dollari all’anno, producendo ed esportando petrolio.

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