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Ieri il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, era al Cairo per partecipare, da osservatore, alla riunione su EastMed – assieme ai colleghi di Egitto (Sameh Shoukry), Francia (Jean-Yves Le Drian), Grecia (Nikos Dendias) e Cipro (Nikos Christodoulides). A conclusione delle riunione, il capo della diplomazia italiana non ha firmato il documento congiunto – e visto il ruolo che aveva, sembrerebbe anche normale.

Ma lui stesso ha spiegato di non averlo fatto perché il testo era “troppo sbilanciato” contro il ruolo della Turchia in Libia – Agenzia Nova scrive che “ha provato a smussare alcuni toni della dichiarazione, ha chiesto che l’Unione europea non venga spaccata e ha ricordato che qualsiasi decisione presa può avere conseguenze sulla crisi libica”.

Serve una spiegazione: per i Paesi più attivi in quel quadrante, la situazione libica è diventata problematica per via dell’intervento turco – Ankara ha inviato una manciata di soldati a Tripoli, dopo aver pubblicizzato la volontà di mandare un contingente ben più corposo in difesa del Governo di accordo nazionale. Ma l’idea turca si porta dietro una proiezione geopolitica su quell’area, tramite un’intesa marittima firmata il 27 novembre con Tripoli ad excludendum del sistema EastMed.

Sembra dunque normale che nel documento preparato ieri al Cairo i paesi di EstMed si siano sbilanciati contro i turchi e dunque verso il lato opposto di quello di Tripoli, ossia verso il capo miliziano della Cirenaica, Khalifa Haftar – che da nove mesi sta cercando di conquistare la capitale e intestarsi il paese rovesciando il governo tripolino. Pare altrettanto normale che il capo della diplomazia italiana abbia cercato di frenare, e poi abbia scelto di restare “osservatore”.

Val la pena allora di ricordare che nelle stesse ore della non-firma di Di Maio, a Roma si consumava una tragedia diplomatica. Con il capo miliziano dell’Est libico a Roma per un meeting con una delegazione americana (gli Usa tengono continui contatti con lui, perché temono che si muova sotto manovre russe), Palazzo Chigi aveva giocato di opportunismo e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha offerto un incontro ad Haftar. E lui è arrivato a Piazza Colonna evidenziando la sua presenza con passerella diplomatica e photo opportunity. A quel punto, il premier libico, Fayez Serraj, all’ultimo minuto ha fatto tirar dritto l’aereo di rientro da Bruxelles – per una riunione con i vertici Ue – anziché passare anche lui da Roma come da invito ricevuto, indispettito dallo spazio politico concesso al suo arci-nemico.

Di Maio ha commentato la sua non-firma dicendo: “Stamattina (l’Alto rappresentante Ue per la politica estera) Josep Borrell ha incontrato (il capo del Governo di accordo nazionale) Fayez al Serraj. Stiamo lavorando duramente e dobbiamo sentire tutti il peso delle nostre responsabilità. Non dobbiamo spaccare l’Unione europea in questo momento”. E ancora: “Il processo di Berlino (una conferenza di pace per la Libia che è in fase di convocazione, ndr) non ci deve vedere sbilanciati da una sola parte, bensì in prima linea per il dialogo e la moderazione. Di Libia parliamo in Consiglio europeo venerdì”.

Il gioco di sovrapposizione tra Chigi e Farnesina è rischioso e caotico, evidenziato dai rimbrotti dei diplomatici coinvolti, e peraltro arriva in un momento di oggettiva debolezza del Paese sottolineato dalle preoccupazioni che trapelano dal Colle. In questa situazione Di Maio sembra aver seguito una linea più coerente sia con il percorso italiano – che da sempre sostiene il Gna, ma non nega il dialogo ad Haftar, senza eccessivi sbilanciamenti però – sia quello avviato in coordinamento con l’Unione europea in vista di un cessate il fuoco.

Il pasticcio diplomatico a Roma – più che altro di protocollo, far passare un miliziano aggressore da Conte prima del premier legittimato – si è risolto con l’incontro dell’Italia soltanto con Haftar. Una circostanza che se fosse stata sommata alla firma su un documento critico con Tripoli (guardando alla Turchia), poteva risultare una mossa troppo secca. Un cambio di schema, e campo, troppo spregiudicato, palese e forse nemmeno troppo cercato – tra l’altro è stato lo stesso Conte a sottolineare che ieri, durante le tre ore di colloquio, ha “pressato” l’uomo forte della Cirenaica per fargli deporre le armi (il libico non ha fatto promesse, ndr) .

L’interesse italiano è su entrambe le sponde, sia libiche che del Mediterraneo. Prendiamo per esempio il caso di Eni, un’azienda che per l’Italia ha un enorme valore geopolitico. La società energetica di San Donato Milanese ha una presenza molto strutturata in Libia, ma ha anche nuovi e più forti interessi nell’area del Mediterraneo orientale, dove ha accordi con l’Egitto (sostenitore di Haftar) per la gestione di super-pozzi Zohr e Noor, con Nicosia (rivale turco) per quelli dell’off-shore cipriota su cui Ankara ha interessi.

L’equilibrismo è dunque questione necessaria, perché finora la gestione del dossier libico è stata focalizzata sulla ricerca di stabilità in difesa degli interessi Eni (e di diverse altre aziende che operano nell’area nordafricana) e a protezione del problema immigrazione, tutto giocato attraverso la sponda del governo onusiano e dell’Ue; ma contemporaneamente sulla fascia mediterranea tra Grecia, Egitto, Cipro e Israele, si sta configurando la costruzione di un sistema geopolitico importantissimo per l’Italia, che sale finanche all’integrazione balcanica nel quadrante, in cui competitor strategici ed economici si stano muovendo.

Proprio sotto quest’ottica il ruolo di Roma diventa quello di valutare con estrema cautela i movimenti di alleati competitivi come la Francia, che ha anche dimostrato di seguire (sebbene senza ufficialità) traiettorie diverse dall’Italia in Libia, gestire la crisi libica senza perdere terreno su nessuno dei fronti, e maneggiare con cura potenziali sbilanciamenti verso Cina e Russia – entrambi presenti in EastMed (ma anche nei Balcani), con l’ultima molto attiva sulla Libia, come dimostrato dall’incontro presidenziale di ieri con la Turchia, in cui si è chiesto il cessate-il-fuoco tra Tripolitania e Cirenaica.

Ieri Mosca ha criticato l’Italia per aver organizzato male i colloqui con Haftar e Serraj, e tutto sembra un tentativo per usare lo scivolone italiano per sottolineare il ruolo da honest broker che Vladimir Putin sta cercando di costruirsi sulla Libia, a beneficio degli interessi dei paesi amici – in Cirenaica – e in cerca di una partita di scambio con Ankara sulla Siria. E dunque, a difesa dei propri interessi.

(Foto: Facebook, Luigi Di Maio)

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