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Il conflitto tra Israele e Hamas è iniziato quasi un anno fa, a seguito del terribile e ormai storico eccidio compito dal terrorismo fondamentalista il 7 ottobre dello scorso anno. La guerra che si è da allora innescata ha mietuto tante vittime e adesso si avvia ad una nuova fase, piena di incognite. Lo spostamento da Gaza al Libano dell’azione militare voluta da Benjamin Netanyahu, d’altronde, segna una tappa diversa e superiore della belligeranza.

È vero che la reazione di Israele ha generato repliche diverse in ambito occidentale, creando una difficoltà diplomatica e gestionale anche per gli Usa, occupati da mesi in una complessa campagna elettorale. È vero che la questione dei diritti umani delle popolazioni civili hanno provocato un senso di smarrimento e dolore in tutti noi. Ciò nondimeno, in questa nuova fase delle ostilità è emersa chiaramente anche la diversa finalità di Israele nei rispetti del mondo politico, religioso, culturale e militare che sostiene gli Hezbollah a sud del Libano.

Adesso la guerra è diventata inevitabilmente un plebiscito pro o contro Israele, e non soltanto una guerra particolaristica, lontana e irrilevante. Anzi, si dovrebbe meglio dire che è una guerra regionale, e speriamo che resti il più possibile tale, ma tra due diverse idee generali di civiltà umana.

Non dobbiamo dimenticare che l’appoggio ad Israele per l’Europa e gli Stati Uniti non è effetto soltanto di motivate ragioni geopolitiche, dovute al carattere democratico dello Stato ebraico rispetto alla teocrazia iraniana, ma deriva dal legame indissociabile che sussiste tra la cristianità e l’ebraismo.

Non a caso, la più nefanda deriva occidentale si è consumata nel ‘900 quando alcune ideologie deliranti hanno separato surrettiziamente il destino degli ebrei da quello delle nostre nazioni. È stata una folle mistificazione, i cui effetti sono stati l’antisemitismo e il nazi-comunismo. Lo Stato ebraico esiste per segnare questa inossidabile saldatura che è interna alla nostra identità occidentale. Di fatto, a ben vedere, non soltanto non vi è contrapposizione tra queste due anime religiose dell’Occidente, ma come l’Antico Testamento è fondamento del Nuovo, così la fede ebraica è parte sostanziale e costitutiva della fede cristiana. Giovanni Paolo II ha parlato efficacemente, in tal senso, di una relazione speciale di parentela tra le due grandi confessioni abramitiche, cioè tra i cristiani e i cugini ebrei.

È questa la ragione fondamentale per cui non possiamo non dirci ebrei, come cittadini europei e come cristiani cattolici e non cattolici, perlomeno se continuiamo ad esserlo.

Vi è, poi, anche una seconda ragione non religiosa ma politica in senso stretto da aggiungere a questo ragionamento. Dall’11 settembre del 2001 abbiamo dovuto constatare che il terrorismo islamico è il pericolo più grande che dobbiamo temere per la nostra sicurezza e per la sopravvivenza presente e futura del nostro stile di vita, della nostra libertà, della nostra democrazia. Esiste nella parte più radicale dell’Islam un obiettivo di annientamento, oltre che di conquista, dell’intera nostra area geografica. Chiaramente, conviene evidenziare, questo obiettivo non riguarda tutto l’Islam, non tutto il mondo arabo, ma sicuramente una parte radicale di esso, incarnato nel governo del regime degli Ayatollah iraniani, che ha l’intento non celato di distruggere Europa e Stati Uniti.

Ecco perché la speranza che questa guerra finisca quanto prima non può essere confusa né con l’indifferenza fintamente neutralista, né con la giusta sensibilità umanitaria che preziosamente coltiviamo in noi come alto spirito religioso ebraico e cristiano della vita.

Sia l’Europa e sia gli Usa non possono non dirsi israeliani, essendo la nostra civiltà figlia del Cristianesimo e nipote dell’Ebraismo.

Perché non possiamo non dirci israeliani. Il commento di Ippolito

La più nefanda deriva occidentale si è consumata nel ‘900 quando alcune ideologie deliranti hanno separato surrettiziamente il destino degli ebrei da quello delle nostre nazioni. È stata una folle mistificazione, i cui effetti sono stati l’antisemitismo e il nazi-comunismo. Lo Stato ebraico esiste per segnare questa inossidabile saldatura che è interna alla nostra identità occidentale. Il commento di Benedetto Ippolito

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