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Mario Draghi non si stancherà mai di dirlo: con questo passo di marcia, l’Europa non può sopravvivere a lungo. Il pensiero dell’ex presidente della Bce, tra gli italiani più stimati e ascoltati al mondo, è fin troppo noto, ben incastonato nell’ormai osannato rapporto Draghi. Evidentemente, però, il messaggio non è ancora chiaro. Tanto valeva ribadirlo, ancora una volta, nel corso di un dibattito all’Istituto Bruegel, incentrato proprio sulle 400 pagine del lavoro commissionato a Draghi da Ursula von der Leyen. E così, mentre la Germania vive il suo peggior incubo, toccando con mano la crisi dell’industria automobilistica nazionale, da sempre vanto e orgoglio dei tedeschi, l’ex premier è tornato sui temi che possono fare la differenza, tra il declino e la speranza.

“Se c’è un tema comune nel rapporto è che dobbiamo puntare a sforzarci di aumentare la crescita della produttività. E che ha anche a che fare con essere in grado di attuare i nostri valori di equità, sicurezza e indipendenza. E che dati i cambiamenti nel contesto geo-politico questa è diventata un una priorità politica. E certamente tra i valori dove dovremmo raggiungere risultati abbiamo innanzitutto il clima”, è stata la premessa, che poi è il filo conduttore di tutta la visione di Draghi: più competitivi per essere più forti e dunque immuni, o quasi, all’aggressività cinese o allo strapotere degli Stati Uniti.

Più forti, però, vuol dire innanzitutto uniti. Di qui un “secondo messaggio è che il passo più importante che dobbiamo prendere per raggiungere i risultati è integrare i nostri mercati. Innanzitutto il mercato unico. Penso che il mercato unico e i beni pubblici che arrivano con esso perché così importante? Perché se la produttività è l’obiettivo, le economie di scala in molti settori analizzati sono diventate un ingrediente essenziale. E le economie di scala le ottiene solo un mercato unico integrato”. E chissà che questo non sia un messaggio sottobanco proprio alla Germania e alle sue recenti chiusure a quell’unione bancaria che passa per la possibile aggregazione di Commerzbank in Unicredit.

Non è finita. Il terzo maggiore messaggio più sfumato, chiama direttamente in causa la Cina. “Mentre si migliorano innovazione e produttività dovremmo anche gestire le ricadute del presente. Ad esempio tenendo presente che non ci si trova in un quadro di concorrenza leale nell’economia mondiale: la concorrenza dall’estero viene guidata sì dall’innovazione, ma anche da asimmetrie massicce sui sussidi pubblici (pratica quotidiana nel Dragone, ndr). E c’è una seconda ragione: che l’alternativa ed avere una strategia europea non è non avere una strategia industriale, ma avere tante strategie industriali industriali non coordinate”.

Poi c’è l’architrave dell’intero piano per l’Europa messo a punto dal padre del whatever it takes: il debito comune. Il quale, nella logica di Draghi, passa addirittura in secondo piano dinnanzi alle priorità del mercato unico e della competitività. Quanto all’emissione comune di titoli di debito Ue per finanziare le transizioni (digitale, verde, nella sicurezza e difesa), Draghi ha detto che si tratta di un aspetto importante, perché diminuirebbe i costi di finanziamento a fronte dell’insufficienza del bilancio Ue, una via gia’ tracciata dal Recovery Fund. “Tuttavia non è il fattore principale, l’ingrediente essenziale del rapporto sulla competitività, non centrerei la discussione oggi su questo. Perché adesso è importante avere una valutazione comune delle sfide cui si trova a fronteggiare la Ue e un accordo sulla strada da percorrere”.

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