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Chi oggi grida allo scandalo ed alza la voce sull’incontro tra il vertice dei nostri servizi informativi ed il ministro della Giustizia statunitense William Barr, magari associandosi al coro di quanti chiedono di sapere anche i contenuti dei vari colloqui, dovrebbe rinfrescare il suo sapere o mettere maggiormente a fuoco taluni concetti basilari che vigono – da sempre e tra i più disparati Paesi – nella interlocuzione tra governi in materia di scambio informativo.

Prima di tutto, la condivisione di informazioni tra Paesi amici ed alleati è un dovere cui non si può e non conviene sottrarsi, astenendosi dal giudicare, salvo casi specifici e comprovati, la motivazione alla base della richiesta e l’uso che il nostro Paese amico intende fare delle informazioni che gli forniamo.

Giova anche ricordare che gran parte del patrimonio informativo di un Servizio è il risultato degli scambi e della collaborazione con i servizi informativi di altri Paesi; più si sarà abili a costruire interlocuzioni efficaci, maggiore sarà il patrimonio cui accedere per proteggere gli interessi nazionali e la propria sicurezza.

Bene quindi hanno fatto i nostri Servizi ad ascoltare i colleghi statunitensi e a dar loro una mano, non si tratta che di un investimento sicuro, anche nella considerazione che la materia intelligence soggiace rigorosamente alla stessa regola delle figurine Panini, uno scambio alla pari tra informazioni di pari peso e spessore, senza deroghe, non si regala nulla.

Poi se gli incontri si siano tenuti in un’ambasciata o in altro luogo tra esponenti di pari o diverso rango, in persona o su delega, è un solo fatto di rituale o protocollare, le cui anomalie non possono inficiare il principio del dovere di collaborazione.

Inoltre, va richiamato alla memoria e sottolineato un altro punto cardine in materia di intelligence: il presidente del Consiglio non è tenuto a rivelare alcunché ad alcuno se egli giudica che l’informazione che si vuole rendere pubblica può causare un danno alla sicurezza dello Stato; questa è una prerogativa lasciata alla sua esclusiva valutazione e che non può essere in alcun modo forzata, anche dalla magistratura, come purtroppo talune procure non infrequentemente sembrano dimenticare.

Bisogna quindi smetterla di sollecitare Conte a riferire i contenuti dei colloqui intercorsi con la controparte statunitense. E questo vale anche per il Copasir, seppure in maniera attenuata e comunque nel vincolo per i suoi componenti, concettuale più che formale, a mantenere il riserbo anche in assenza di Nulla Osta di Segretezza (Nos).

E l’ultima cosa da ricordare, non certo la meno importante, è la tutela delle fonti. Principio banale se vogliamo, ma va tenuto sempre a mente, ricordando anche la figuraccia rimediata nel 2003 quando furono dati in pasto all’opinione pubblica internazionale i nomi di 26, se non ricordo male, agenti della Cia coinvolti nel sequestro dell’Imam di Milano, l’egiziano Abu Omar.

Se per qualche bizzarria del sistema italiano sempre dietro l’angolo o per l’eccesso di zelo di qualche giornalista, magistrato o personaggio politico, qualcuno dei principi elencati, su cui si fonda, come detto, la collaborazione tra Servizi dovesse collassare, chi ne soffrirebbe sarebbe ancora una volta la credibilità dell’Italia ed a lungo andare il suo patrimonio informativo cui è legata la sicurezza e l’interesse nazionale, ne uscirebbe considerevolmente impoverito.

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