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L’auto italiana non esiste più” aveva detto Luca Cordero di Montezemolo nel 2022 sollevando il velo dall’accordo FCA-PSA da cui è nata la multinazionale Stellantis, società franco-italiana di diritto olandese. A distanza di due anni, quando finalmente tutti si sono resi conto della realtà, l’ex presidente di Confindustria ha fatto nei giorni scorsi un quadro ancora più drammatico affermando che “l’Italia non ha più una produzione di auto. Il marchio Lancia si produce ancora ma all’estero come la Seicento, simbolo della nostra industria nel dopoguerra. Fiat non c’è più, Maserati non c’è più e così Lancia e Magneti Marelli. Nel nostro paese c’è solo cassa integrazione e stabilimenti vuoti. C’è da indignarsi, ma sento solo un silenzio assordante”.

Il silenzio sul caso, in effetti, continua se si esclude l’interlocuzione tra Stellantis e il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il quale pone l’obiettivo di un milione di auto prodotte a fronte delle attuali 500.000, cercando allo stesso tempo di attirare in Italia un secondo produttore.

La morte di Sergio Marchionne ha indubbiamente privato l’auto italiana di uno strenuo difensore. La proprietà di Stellantis, con l’obiettivo di consolidare il gruppo, è parsa non seguire le scelte coraggiosamente adottate dal suo storico manager. Alla base c’è anche una sua difficoltà a colloquiare con la politica italiana. Certo, non favorisce il dialogo l’inveterato pregiudizio che considera la Fiat come beneficiata dai governi passati. Non a caso, un vecchio pamphlet di Eugenio Scalfari (Rapporto sul neocapitalismo in Italia, Laterza, 1961), scritto quando in Fiat comandava Vittorio Valletta, intitolava un suo capitolo “Fiat Voluntas Mea”.  D’altronde, nei primi anni Duemila la Fiat visse una sua grave crisi, ma il governo Berlusconi rifiutò di finanziare l’azienda con intervento pubblico. Quando nel 2022 c’è stata la fusione con la francese PSA, il nostro governo non ha nemmeno pensato di usare lo strumento del Golden Power per mantenere il controllo nazionale su una filiera industriale così strategica; com’è noto lo Stato francese è invece azionista avendo mantenuto la sua precedente quota in PSA.

Ripensando al passato, la fusione FCA-PSA rappresenta un punto di rottura rispetto a quanto immaginato da Marchionne che, dopo l’unione con la Chrysler, si era prefissato di privilegiare l’italianità di FCA escludendo categoricamente di allearsi con i francesi. I timori di Marchionne che FCA venisse fagocitata e snaturata si rivelano fondati, oggi che è in atto un progressivo depotenziamento della produzione italiana circoscritta alle utilitarie e ad alcuni modelli premium dell’Alfa. Conseguenza inevitabile è la nostra perdita di capacità tecnico-progettuali nel settore dei motori e della carrozzeria.

Apparentemente, tutto si spiega secondo logiche economiche ed industriali, complicate anche dalla questione dell’elettrico. A ben vedere c’è però dell’altro. Per esempio è cessata la produzione della nostra Punto. Ma la clientela di auto di media cilindrata non è scomparsa ed ora è costretta a rivolgersi a modelli prodotti all’estero dalla stessa Stellantis o da altri marchi. È come se si fosse deciso di eliminare questo segmento dell’auto italiana per beneficiare modelli prodotti altrove, a cominciare dalla Spagna e dalla Francia. Le statistiche d’altronde parlano chiaro: la produzione spagnola è quattro volte quella italiana mentre quella francese è tre volte superiore alla nostra.  Si parla di geopolitica dell’auto alludendo alla competizione della Ue con la Cina per la produzione di auto elettriche e relative batterie. In realtà, geopolitica pare essere anche la strategia tesa a desertificare l’automotive italiano: a beneficiarne sono infatti altri Paesi del gruppo olandese.

Probabilmente è oramai tardi per salvare l’auto italiana favorendo l’insediamento di un secondo produttore come il ministro Urso cerca di fare, e come invece la Fiat di Agnelli, anni fa, escluse per mantenere il proprio monopolio.

“Triste vedere l’Italia senza produzione di auto”, dice Montezemolo. Proprio così, anche perché circolano ancora milioni di auto ex Fiat a riprova di un vecchio legame affettivo con il cliente italiano. E poi perché le versioni sportive di Lancia ed Alfa che hanno segnato i nostri anni migliori paiono ora il modello seguito da un nuovo brand spagnolo come Cupra.

L’Italia senza auto. Il drammatico declino nell’analisi di Caffio

Luca Cordero di Montezemolo ha lanciato l’allarme nel 2022 e oggi la realtà è ancora più dura: l’Italia non produce più auto. La fusione FCA-PSA ha segnato la fine di un’era, con Fiat, Maserati e Lancia prodotte all’estero. Mentre il governo italiano cerca di attrarre nuovi produttori, il silenzio su questa crisi è assordante. L’opinione di Fabio Caffio

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