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Il coronavirus non ferma il braccio di ferro fra Stati Uniti e Cina sul 5G, lo rilancia. L’ultima puntata è andata in onda giovedì scorso con la firma del presidente Donald Trump sul Secure and Trusted Communication Networks Act, che ora è entrato in vigore. La nuova legge passata con un voto quasi unanime del Congresso, a dimostrazione della natura bipartisan della causa, è l’ultima di una lunga serie di provvedimenti che nell’ultimo anno hanno stretto la cinghia alla presenza delle aziende cinesi nel mercato del 5G americano.

Una strategia che segue due direttive. Da una parte la spada di Damocle del decreto presidenziale del maggio 2019 che vieta a tutte le aziende americane di fare affari con Huawei, colosso della telefonia mobile cinese con base a Shenzen, secondo produttore di cellulari al mondo, accusato di spionaggio dal governo americano. Il bando, che avrebbe effetti dirompenti sul mercato, non solo del 5G, impedendo, ad esempio, a Google di vendere a Huawei il suo sistema operativo Android, è stato puntualmente prorogato ogni quattro mesi, e tutt’oggi è sospeso. Dall’altra la tattica della “goccia cinese”, garantita da una copiosa produzione legislativa del Congresso, volta sia a restringere l’accesso di Huawei al 5G sia a favorire il subentro delle concorrenti europee, Nokia ed Ericsson.

L’ultimo provvedimento siglato dallo Studio Ovale creerà non pochi problemi alla compagnia fondata dall’ex ufficiale dell’Esercito di liberazione popolare cinese Ren Zhengfei. Va infatti a colpire un tassello cruciale della solidità di Huawei sul mercato americano: le aree rurali. Indiana, Vermont, Pennsylvania, Oregon, Mississipi, Connecticut. Negli anni l’azienda cinese ha consolidato la sua presenza nei cosiddetti “fly-over States”, in alcuni dei quali vanta una posizione di quasi-monopolio.

Convincere i piccoli operatori dell’America rurale a smontare dall’oggi al domani l’equipaggiamento cinese installato per la rete 4G e spalancare le porte a nuovi, e più costosi fornitori, non è una missione semplice. Per questo, con la nuova legge, il governo fornirà alla Federal Communication Commission (Fcc) un miliardo di dollari da elargire in rimborsi per riparare i danni creati dalla tabula rasa. Non a caso gli addetti ai lavori a Washington Dc hanno già ribattezzato la nuova legge come “Rip and replace act”.

La prima parte, “rip”, “eliminare” le telco cinesi, è già iniziata. A novembre la Fcc ha vietato agli operatori americani delle aree rurali di acquistare equipaggiamento di aziende cinesi come Huawei e Zte attraverso l’“Universal Service Fund”, un fondo federale che ogni anno garantisce 8,5 miliardi di dollari alle telco statunitensi per investire nella banda larga. La decisione aveva mandato su tutte le furie Huawei, che ha visto il prezzo della sua tecnologia diventare significativamente più alto per i suoi clienti nell’America rurale e ora vuole impugnare in tribunale il bando della Fcc.

La seconda parte, quella del “replace”, è la più difficile. Secondo la Rural Wireless Association (Rwa) nel 2018 il 25% dei suoi soci ha utilizzato equipaggiamento di Huawei per costruire o gestire la sua rete wireless. Per vincere le resistenze degli operatori americani, serve un’offerta competitiva, e in tempi rapidi. Né l’una né l’altra condizione sembrano ad oggi a portata di mano. La Casa Bianca sta valutando più opzioni ma non si è ancora espressa in modo ufficiale.

La proposta del procuratore generale William Barr di una joint-venture di compagnie tech americane per acquistare un pacchetto azionario di Nokia ed Ericsson sembra tramontata, complice lo scetticismo delle dirette interessate. La compagnia finlandese in queste settimane è stata attenzionata dagli addetti ai lavori vicini a Trump, a partire dal suo consigliere economico Larry Kudlow. Ha avviato una partnership con l’americana Intel sul mercato delle antenne 5G, dove vanta una presenza globale del 21%. Il presidente starebbe anche pensando a un acquisto dei brevetti Nokia da parte del colosso a stelle e strisce Cisco, assieme a quelli di Alcatel-Lucent, ma per ora rimangono opzioni sulla carta. Dovevano essere discussi durante un briefing delle grandi telco americane (e non solo) alla Casa Bianca previsto per aprile. Ma l’emergenza coronavirus ha congelato anche questo appuntamento.

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