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Nel tipico mistero delle missioni spaziali cinesi (questa volta ancora più fitto a causa del coronavirus), lunedì scorso è fallito il primo lancio del vettore spaziale Lunga Marcia 7A. Difficile prevedere gli effetti sull’ambiziosa tabella di marcia di Pechino per lo spazio extra-atmosferico, ma potrebbero slittare le missioni verso la Luna e la realizzazione del terzo Palazzo celeste, impegni su cui erano già emersi dubbi con l’emergenza sanitaria. Il fallimento andato in scena tre giorni fa è simile a quello occorso nel luglio 2017, quando il Lunga Marcia 5 mancò il suo secondo lancio, poi ritentato con successo dopo oltre due anni.

IL LANCIO MANCATO

Con un altezza di circa 60 metri, paragonabile a un palazzo di venti piani, il vettore è partito nella mattinata di lunedì dalla base di lancio Wenchang, sull’isola di Hainan lungo la costa sud del Paese, inaugurata poco più di tre anni fa. Inizialmente il lancio è stato confermato da immagini a distanza che riprendevano il volo del vettore sostenuto dai quattro booster laterali. Poi qualcosa deve essere andato storto, visto che non è arrivato il consueto comunicato con cui la China Aerospace Science and Technology Corporation (CASC, azienda di Stato per le attività spaziali) generalmente dichiara il successo della missione. Ci sono volute circa due ore prima della comunicazione di fallimento da parte dell’agenzia stampa di Stato, senza informazioni di anomalie e con l’unica specifica dell’avvio di un’indagine per rintracciare le cause dell’insuccesso.

LA RISERVATEZZA CINESE

D’altra parte, sul lancio aleggiava un certo mistero anche nelle fasi preparatorie, forse complice il più capillare controllo dell’informazione che Pechino ha adottato per l’emergenza coronavirus. Nessuna informazione sugli step di avvicinamento alla missione, e tanto meno sul satellite caricato sul vettore, semplicemente identificato come “new technology verification satellite-6”. Per quanto riguarda il lanciatore, il Lunga Marcia 7A rappresenta un’evoluzione del 7 (vi aggiunge un terzo stadio), ed è immaginato come futuro vettore per le missioni dedicate a collocare in orbita geostazionaria i satelliti per telecomunicazioni.

GLI EFFETTI POSSIBILI

In assenza delle cause del fallimento, è difficile prevedere gli effetti sul programma spaziale di Pechino che si muove dalla bassa orbita terrestre fino a Marte, con una tabella di marca invidiabile presentata al mondo intero lo scorso aprile, quando il China’s Space Day è andato in scena nella città di Changsha, nel cuore del Dragone rosso. Siti specializzati notano che il Lunga Marcia 7A condivide con altri lanciatori spaziali di nuova generazione cinesi diverse tecnologie, tra cui motori a propellente liquido. Qualora il problema coinvolga tali componenti, potrebbero verificarsi ritardi su alcuni progetti in corsa. È il caso del Lunga Marcia 5B, che dovrebbe debuttare il prossimo mese per il lancio di Thainé, il modulo centrale della futura stazione spaziale cinese. A luglio è previsto invece il lancio della prima sonda cinese verso Marte, sempre con un Lunga Marcia 5 e con le medesime incognite relative all’impatto del Covid-19.

LA LUNGA MARCIA DI PECHINO

Ciò non toglie nulla all’ambizione cinese verso lo Spazio extra-atmosferico, la quale poggia prima di tutto sul programma per un’intesa nuova generazione di lanciatori. Lo stesso termine Lunga Marcia (Chang Zheng) indica l’importanza che Pechino e il Partito vi attribuiscono. Tra gli obiettivi più rilevanti c’è l’esponente numero 9: un vettore super-pesante (c’è chi dice che avrà cinque volte la capacità del Long March 5) pensato per l’esplorazione umana della Luna e di Marte. Parallelamente, prosegue lo sviluppo del vettore medio Lunga Marcia 8, che invece potrebbe avere un primo stadio riutilizzabile proprio come i famosi lanciatori di SpaceX.

IL PALAZZO CELESTE

Per quanto riguarda l’esplorazione, Pechino ha da tempo in cantiere la Tiangong-3, il terzo palazzo celeste cinese che, con i primi moduli in rampa di lancio per l’anno prossimo, potrebbe essere operativo nel 2024. È destinato a ospitare permanentemente taikonauti a bordo, seguendo le orme delle due precedenti stazioni. La prima, si ricorderà, è caduta rovinosamente a terra (non senza generare diverse apprensioni) a Pasqua del 2018, mentre il secondo (Tiangong-2) è stato lanciato nel 2016 e ha ospitato già quell’anno gli astronauti Jing Haipeng e Chen Dong, tornati sulla Terra dopo oltre un mese in orbita. Già nel 2003 comunque la Cina diventava il terzo Paese ad avere accesso autonomo per astronauti nello Spazio. A bordo di una navicella Shenzhou-5 fu Yang Liwei a orbitare intorno al Pianeta.

TRA ARMI…

Quattro anni dopo, nel 2007, anche le inclinazioni militari furono chiare. I cinesi dimostrarono infatti di possedere le temute capacità anti-satellite (Asat), riuscendo a colpire e distruggere con un missile intercettore un proprio satellite meteorologico. Le stesse capacità hanno indotto gli Stati Uniti a dotarsi di una Space Force, a conferma di confronti ormai destinati a superare l’atmosfera.

…E LUNA

La competizione con gli Usa riguarda però prima di tutto Luna, sui cui la Nasa conferma l’obiettivo di tornare entro il 2024. La Cina ha elaborato un programma spaventosamente simile a quello americani. A inizio 2019, la sonda Chang’e 4 è stata la prima nella storia a posarsi sul lato nascosto della Luna. Per quest’anno è prevista la seguente Chang’e 5, con l’obiettivo di raccogliere e riportare a Terra dei campioni di superficie lunare. Per la loro conservazione si è scelto un luogo simbolico: Shaoshan, città natale di Mao Zedong. Per le tappe successive mancano ancora i dettagli, ma per ora i vertici spaziali puntano a far arrivare sulla Luna i primi taikonauti nel giro di “circa dieci anni”.

Coronavirus e lanci falliti. Quale futuro per il programma spaziale cinese?

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