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Il dibattito (tutto italiano) intorno al Mes ha raggiunto livelli sublimi, però perfettamente indicativi dello stato di salute dell’establishment nazionale (che non sta per niente bene). E allora guardiamoci un po’ dentro in questa storia, che per essere compresa va inserita nel processo d’integrazione europea così come va avanti da ormai tre decenni. Ebbene questo processo si è spinto molto avanti sul versante della moneta (l’euro) e dei servizi finanziari, con corollario di paletti (abbastanza) rigidi di “coordinamento” delle politiche di bilancio.

Parimenti ha sviluppato una forte disciplina comune sul versante bancario (aspetto impossibile da disgiungere dai tasselli precedenti), con conseguente tendenza alla protezione dei soggetti più forti (tedeschi e francesi in particolare). In questa direzione dunque l’Europa ha fatto enormi passi avanti, di cui Mario Draghi è stato negli ultimi anni interprete efficace (sua la messa in campo del Quantitative Easing) ed autorevole (pur con voci critiche all’interno, a cominciare dal versante tedesco).
Su altri fronti (non meno importanti) l’Europa è rimasta ferma (politica industriale, si pensi al 5G) o addirittura è andata indietro (totale assenza di politica estera comune, come insegna il caso Libia).

Insomma si è scelta una strada, con al centro di tutte le attenzioni la politica monetaria e i servizi finanziari, che non poteva generare altro risultati che una ossessiva attenzione a quei mondi, che hanno nelle banche il motore del sistema. Torniamo al Mes, nell’ultima sua versione che è oggi materia di discussione in vista del prossimo vertice di dicembre che dovrebbe approvarlo. Ebbene diciamo allora chiaro e tondo come stanno le cose: insieme ad uno strumento potenziato per fare fronte e situazioni di crisi esso contiene un palese aiuto (in caso di necessità) alle banche (che prima non c’era in versione così esplicita) ed un più stringente meccanismo di controllo sui governi (quando si decide di aderire al piano di aiuto), generando quindi un ulteriore spostamento di sovranità verso le figure tecniche a discapito di quelle politiche. Sono quindi fondati gli allarmi italiani?

Potremmo dire di sì (per un verso), poiché è chiaro che essendo noi il Paese con il più elevato (per dimensione) debito pubblico d’Europa siamo comunque sempre “vigilati speciali” dai mercati e dalle società di rating. Al tempo stesso però va anche detto che nulla lascia intravedere oggi un bisogno italiano di ricorrere a quegli strumenti di aiuto del Mes, anche perché siamo ormai da molto tempo in un contesto finanziario di “tasso zero”. E comunque il modo italiano di reagire contiene (ancora una volta) tutti i difetti nazionali, che ci rendono poco affidabili sia in sede europea che mondiale. Questo è il punto centrale di questa storia, punto che dalle nostre parti tutti o quasi fanno finta di non vedere.

Dico questo per tre ragioni essenziali, che provo ad elencare rapidamente.

Primo: la trattativa è in corso da due anni e i ministri (Tria in testa) del governo giallo-verde hanno preso parte a tutte le discussioni, ottenendo anche alcune modifiche importanti. Quindi (Salvini se ne faccia una ragione) non possiamo dire che gli altri sono brutti e cattivi (tedeschi e francesi per primi) per il semplice fatto che al tavolo ci siamo stati anche noi.

Secondo: se noi cambiamo idee, governi, ministri e atteggiamenti ogni sei mesi non possiamo darne colpa agli altri, perché siamo gli unici in Europa a fare così. E questo vuol dire che quelli bizzarri siamo (innanzitutto) noi.

Terzo: operano in Italia tre soggetti politici di primaria importanza (Lega, Pd e M5S, di cui uno all’opposizione e due al governo) che non presentano (due in particolare) buone performance sul fronte internazionale. La Lega perché legata a doppio filo con la parte meno presentabile della destra continentale (e non solo), il M5S perché privo di bussola e capace di scegliere quasi sempre la parte sbagliata in cui mettersi (con i Gilet Gialli contro Macron, con la Cina contro gli studenti di Hong Kong, con il dittatore Maduro contro i manifestanti venezuelani). Poi c’è il Pd, in questo momento di gran lunga il meglio dotato per governare, con un ministro dell’Economia (Roberto Gualtieri) di grande buon senso e serietà. Un Pd che però vacilla nei consensi elettorali (ha preso mazzate in tutte le regioni) e che per tornare al governo ha dovuto accettare un’alleanza contro natura con i grillini, nati a cresciuti nella ostilità più feroce alla sinistra di governo italiana. Se a tutto ciò aggiungiamo la figura di un premier tecnico (abile quanto si vuole, ma non certo dotato di una sua forza politica) ne esce il quadro di quello che siamo (vedasi alle voci Ilva o Alitalia): un Paese guidato da una classe dirigente provvisoria e volubile.

E allora la mia sintesi è così: francesi e tedeschi sono certamente un po’ stronzi, ma noi siamo dei gran “cazzari”.

Il Mes e noi. Prove tecniche di cazzeggio all’italiana

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