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Il memorandum con il quale i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria e i legali di ArcelorMittal hanno ottenuto dal Tribunale di Milano la posticipazione al 7 febbraio 2020 del dibattimento sulla causa in corso fra le parti, può considerarsi – pur con tutte le dovute cautele – un primo passo sulla strada di un possibile accordo fra il governo e la multinazionale francoindiana per quel che riguarda il futuro societario ed impiantistico del gruppo siderurgico, ed in particolare del suo imponente impianto di Taranto che – è appena il caso di ricordarlo – non è solo la più grande acciaieria dell’Unione europea, ma anche la maggiore fabbrica manifatturiera italiana con i suoi 8.277 addetti diretti.

Il memorandum in realtà contiene – e sarà opportuno tenerlo ben presente per non incorrere in facili illusioni sull’esito della trattativa – soltanto dei principi di massima che dovranno poi, attraverso un negoziato presumibilmente non facile, essere definiti nei dettagli, come ad esempio l’aggiornamento del programma degli investimenti di Arcelor, le modalità e l’ammontare dell’intervento statale, il percorso di decarbonizzazione del sito ionico, i suoi volumi produttivi annuali, gli eventuali esuberi, un nuovo prezzo per l’acquisto del Gruppo e, last but non least, un nuovo scudo penale sino al completamento del piano ambientale: tutti nodi da sciogliersi in una trattativa da far partire subito, e che poi dovrà coinvolgere – per quanto di rispettiva competenza – i sindacati, le Regioni Puglia, Liguria e Piemonte e le città di Taranto, Genova e Novi Ligure.

Si diceva poc’anzi un negoziato nient’affatto facile, intanto perché sono ancora molto vive le scorie dei contenuti e dei toni duramente polemici degli atti che AmInvestco Italy e i Commissari hanno depositato nelle ultime settimane presso il Tribunale di Milano; documenti in cui le parti hanno esposto le rispettive ragioni che – è inutile nasconderselo – hanno tutte un loro fondamento, pur partendo da punti di vista contrapposti. Se questo è vero, allora il negoziato – in attesa peraltro di come si esprimerà il Tribunale del riesame di Taranto sull’istanza dei Commissari contro le disposizioni del Giudice del dibattimento sullo spegnimento dell’Afo 2 – sarà molto complesso, perché, com’è intuibile, sono in gioco non solo interessi strategici di un Paese come l’Italia che deve restare una potenza manifatturiera di rango mondiale, ma anche quelli del primo produttore di acciaio a livello internazionale, quotato presso diverse borse che presumibilmente non vorrebbe, pena un probabile crollo del valore delle sue azioni, fare concessioni oltre certi limiti.

Ma il governo italiano accingendosi alla trattativa – pur se con toni meno aggressivi avendo fatto firmare un memorandum che apre un negoziato – a nostro avviso dovrebbe considerare non negoziabili alcuni punti così riassumibili: a) livello della capacità produttiva di Taranto che a regime non potrà scendere al di sotto degli 8 milioni di tonnellate all’anno, sempre che il mercato li richieda: b) introduzione di forni elettrici con l’annesso impiego del preridotto di ferro; c) ingresso con quote pubbliche elevate nel capitale di Aminvestco; d) massimo contenimento degli esuberi, perché l’impiego di forni elettrici a Taranto potrebbe determinarli, e ai quali pertanto dovrà essere assicurata occupazione sostitutiva qualificata, e non cassa integrazione straordinaria, se non per un periodo limitato ai lavori per introdurre le innovazioni impiantistiche.

Ora, avendo Arcelor potenziato i suoi stabilimenti francesi di Dunkerque e Fos sur Mer vicino Marsiglia portandone in entrambi la produzione da 4 a 6 milioni di tonnellate all’anno, sarà disponibile a riconoscere alla fabbrica di Taranto il ruolo che essa ha per il nostro governo ovvero di stabilimento “di interesse strategico nazionale”? Questo sarà un primo punto dirimente e di confronto molto serrato.

L’impiego poi dei forni elettrici dovrà accompagnarsi alla produzione a costi competitivi ai fini del suo impiego del preridotto di ferro, e sarò necessario perciò costruire un impianto che lo fornisca e nella cui società di gestione potrebbero entrare anche alcuni acciaieri italiani interessati ad acquistarlo, dal momento che incontrano crescenti difficoltà ad approvvigionarsi di rottame sui mercati internazionali. Arcelor allora sarebbe disponibile ad entrare nella società per il preridotto, ove dovrebbe convivere con suoi concorrenti? O, se ne restasse fuori, vorrebbe poi acquistare il preridotto da questo impianto? O preferirebbe importarlo dall’estero già prodotto, soprattutto se a prezzi di acquisto più competitivi?

Inoltre la gamma di prodotti di Taranto sarebbe completa, prevedendosi un pieno rilancio di tubi e lamiere e non solo di coils?

E gli esuberi? I sindacati, giustamente dal loro punto di vista, non ne vogliono sentire parlare, almeno all’inizio del negoziato fra le parti – cui peraltro non partecipano – quando cioè non si è ancora iniziato a discutere di assetti produttivi, tecnologici e di strategie di mercato della società e dei suoi stabilimenti.

Insomma siamo solo all’inizio di una complessa trattativa fra le parti che è bene avviare e condurre con pacata fermezza, ma il cui esito, lo ripetiamo, non è affatto scontato, ragion per cui sarebbe opportuno che il governo italiano conservasse sempre di riserva un piano B, perché l’Italia non può rinunciare al suo ruolo di grande Paese manifatturiero con una spina dorsale siderurgica di eccellente livello.

Ilva, ecco i punti non negoziabili nella trattativa tra governo e Mittal

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