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Dopo i risultati delle elezioni in Umbria si è aperto il dibattito se proseguire o meno l’alleanza fra Pd e Cinque Stelle nelle prossime elezioni regionali. Zingaretti poi invoca (giustamente) spirito di condivisione nell’ambito del governo, mentre Di Maio afferma che non sono più possibili alleanze locali con il Partito Democratico.

Ma al di là di questo affannoso confronto – che detto con franchezza ci sembra troppo effimero – vorremmo porre alcune domande ai protagonisti del dibattito, ma anche ai dirigenti di Italia Viva e di Leu, cominciando dal segretario Zingaretti. Ebbene, segretario, vuole il suo partito iniziare (finalmente) ad aggiornare le sue analisi sul mondo delle fabbriche italiane, e su quanto è accaduto negli ultimi anni nei tessuti produttivi profondi del Paese? Cominciando auspicabilmente proprio dalle fabbriche dell’Italia meridionale? Possibile che il Pd, erede di una grande storia di lavoro operaio – anche se per fortuna non solo di quella – non abbia più organizzato ormai da anni una conferenza operaia (così si chiamavano una volta) per comprendere chi oggi lavori in fabbrica, con quali qualifiche, con quali attese retributive, con quali visioni della società? Si parla di industria 4.0, ma quanti parlamentari che deliberano in merito in Parlamento conoscono realmente le fabbriche nelle quali sono avviate le ormai pervasive trasformazioni digitali?

Chi scrive, per ragioni di lavoro e di ricerca, conserva rapporti con fabbriche in esercizio soprattutto nell’Italia meridionale, e spesso si sente dire da coloro che vi lavorano: “Ma il segretario Zingaretti conosce la nostra fabbrica? O almeno ha uno staff di collaboratori che lo aiuti a farsi un’idea di cosa produca e delle innovazioni tecnologiche che la caratterizzano?”. A Taranto, ad esempio, sulla questione per tanti aspetti drammatica dell’Ilva, il segretario del Pd – e con lui anche i dirigenti di Italia Viva e di Leu – non hanno proprio nulla da dire? La difesa delle fabbriche nel Mezzogiorno deve essere affidata solo al giovane ministro Provenzano che, provenendo dalla Svimez, forse un po’ di autocritica dovrebbe anche farla, dal momento che per anni l’associazione di cui è vicedirettore ci ha parlato di desertificazione industriale nel sud, salvo poi scoprire (lui, da ministro) le “eccellenze” del meridione: eccellenze – sia detto per inciso – che non sono più un’eccezione, ma ormai la regola perché sono centinaia e centinaia gli stabilimenti di ogni dimensione che nel loro settore sono eccellenti, competitivi, export-oriented e con figure professionali oltremodo qualificate.

Probabilmente il conservare la carica di presidente della Regione Lazio non consente a Zingaretti di muoversi con la stessa agilità con cui si muove Salvini che, peraltro, non è poi che chieda anche lui di visitare le fabbriche del sud. E poi ci si meraviglia che al nord gli operai votino per la Lega e che in Umbria da anni ormai abbiano voltato le spalle al Pd?

Ma le domande precedenti valgono anche per Italia Viva e per Leu. Certo, la ministra Bellanova potrebbe ben dire di avere tuttora intensi rapporti con sindacalisti e quadri di fabbrica, essendo stata, oltre che stimata e combattiva sindacalista della Cgil, anche viceministra allo Sviluppo economico nel governo Gentiloni; ma gli altri dirigenti di Italia Viva? Rosato, ad esempio, ha forse promosso qualche incontro con operai, tecnici e dirigenti di fabbriche in particolari aree del Paese? Renzi alcune settimane orsono aveva annunciato di voler presentare alla Leopolda un grande piano di politica industriale per l’Italia. Forse saremo stati lettori disattenti delle cronache della kermesse, o magari se ne sarà anche parlato in quella sede, ma è uscito forse sulla stampa qualche documento di analisi e di proposte di un qualche spessore?

E Leu? Le menti pensanti di Leu, da Bersani a D’Alema, da Vasco Errani a Pietro Grasso e a Guglielmo Epifani, stanno forse lavorando sui territori? Producono analisi, formulano proposte, indicano soluzioni a qualcuna delle oltre 150 vertenze aperte al Mise? Non ci sembra proprio, ma naturalmente saremmo ben lieti di essere smentiti; sembrano appiattiti sul governo, raccolti intorno al ministro Speranza, impegnati (supponiamo) nella battaglia “epocale” per l’abolizione dei superticket.

Insomma, prima di dibattere se continuare ad allearsi o meno a livello locale con il Movimento 5 Stelle, può l’attuale gruppo dirigente del Pd offrirci uno spaccato di analisi aggiornate e di proposte almeno da discutere in materia di politica industriale per il Paese? Un altro esempio di rumoroso silenzio del Pd nazionale? A Ravenna, grande polo della navalmeccanica per l’off shore di rilievo internazionale, ove il Pd governa dal dopoguerra – prima come Pci, poi come Pds, poi come Ds – rischia di crollare tale apparato se non cambierà la legge che blocca per un triennio le nuove autorizzazioni per i sondaggi geognostici in mare e per le estrazioni di gas.

L’Eni ha già posto in stand by investimenti per due miliardi, e Zingaretti che dice al riguardo? Si limita ad evocare la green economy? E dobbiamo solo importarlo il gas, quando invece ne abbiamo enormi giacimenti on e off shore nel nostro Paese? E poi tassiamo lo zucchero? Ma non sembra tale tassa (se resterà) una versione contemporanea della famigerata tassa sul “macinato” che negli anni ’60 dell’Ottocento, nel Regno d’Italia appena unificato, suscitò sanguinose rivolte popolari contro i governi dell’epoca?

Ma anche i dirigenti del Movimento Cinque Stelle, cominciando dal ministro Di Maio che è stato alla guida del Mise nel primo governo Conte, perché (finalmente) non iniziano a studiare cosa è accaduto e sta accadendo nelle fabbriche italiane ove – è bene non dimenticarlo mai – ci stiamo giocando il ruolo di seconda manifattura d’Europa e di grande Paese industriale a livello mondiale? Ma veramente qualcuno pensa nell’alleanza giallorossa di battere Salvini con uscite su Facebook, tweet e battute sul Papeete?

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