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“La Turchia in Libia ha fatto ciò che avrebbe dovuto fare l’Italia, ovvero usare i propri canali per essere player decisivo”. Così Karim Mezran, senior fellow presso l’Atlantic Council e l’Institute for Global Studies, ragiona con Formiche.net sull’evoluzione del caso libico, all’indomani degli attacchi delle forze fedeli al generale Khalifa Haftar all’aeroporto tripolino.

Che cosa comportano i nuovi raid aerei delle forze di Haftar a Mitiga?

Sono soltanto la reiterazione della sua rabbia. Sta cercando di demolire le infrastrutture e di rendere pesantissimo il pedaggio dei tripolini nel non averlo riconosciuto. Non credo abbia una grande strategia dietro, quanto il tentativo di infiacchire la popolazione facendo passare il messaggio che sono circondati. Per questa ragione bombarda case e ospedali.

L’Italia sta guardando alla Libia solo dal punto di vista dell’immigrazione dimenticandosi della sicurezza?

Sì e non si riesce mai a capire il perché. La classe politica dovrebbe avere ben chiaro che immigrazione e criminalità in questo momento sono collegate all’instabilità interna libica. Per cui pensare di risolvere il nodo immigrazione solo con azioni di contenimento non produrrà alcun frutto. Magari tramite un accordo con alcune bande si potrà avere un minor flusso per un anno o due, ma non di più. Se non si arriva a favorire un governo presentabile che riesca a controllare il territorio, allora non ci sarà mai una soluzione, né all’immigrazione né alla sicurezza legata al terrorismo. Mi auguro che questo passaggio sia metabolizzato da Roma.

Dalla Libia chiedono reciprocità, ovvero una posizione più netta dell’Italia contro Haftar: crede che Roma ascolterà Tripoli?

Non vedo grosse speranze in questo senso. L’Italia avrebbe potuto giocare un ruolo molto più importante già alcuni mesi fa, nel momento dell’attacco. Il premier Conte avrebbe dovuto farsi sentire, con azioni di protesta e di intervento proprio per far capire al mondo intero che ci sarebbe stato un costo nel consentire che un generale ribelle attaccasse una capitale uccidendo decine di civili. Invece l’Italia ha preferito far passare il massaggio di essere con Serraj ma anche con Haftar.

Ogni intesa si può cambiare, dicono dal governo Serraj. Come leggere le richieste di rinnovo del memorandum?

È il tentativo avanzato dal gruppo di Serraj di chiedere all’Italia di allargare lo spettro del nostro interesse. Non è sufficiente limitarlo al comparto immigrazione, ma dovrebbe essere più ampio. Ma su questo fronte gli italiani sembrano resistere, perché pare che non vogliano essere tirati dentro a questa diatriba e così prendere una posizione netta. Mi riferisco ai politici, perché le strutture l’hanno capita molto bene.

In Italia si parla molto del caso Bija e della sua presenza durante alcuni incontri con le autorità italiane nel 2017. Che idea si è fatto?

Il caso è solo uno specchietto per le allodole. Si parla di un caso così marginale, proprio per evitare una serie di discussioni su questioni molto più rilevanti. Ovvero c’è una criminalità in costante crescita dovuta all’instabilità, ci sono fatti assurdi che stanno accadendo proprio a causa di questo scenario: questi i problemi veri sui quali bisognerebbe concentrarsi.

Mentre Trump annuncia il disimpegno dal quadrante euromediterraneo, la Turchia punta ad aumentare il proprio cono di influenza: con quali riverberi anche in Libia, oltre che in Egitto?

La rivalità di Ankara con l’Egitto ha giocato un ruolo decisivo nell’adesione turca alla guerra di Tripoli. Non mancano anche retaggi personali nel governo tripolino, e non bisogna dimenticare il rapporto che già sotto Gheddafi esisteva tra Libia e Turchia. Direi che la Turchia in Libia ha fatto ciò che avrebbe dovuto fare l’Italia, ovvero usare i propri canali per essere player decisivo.

twitter@FDepalo

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