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Da quarant’anni nella politica italiana si ripresenta, in varie forme, lo schema del “tutti contro uno”. Da quando il sistema dei partiti su cui si era fondata la democrazia repubblicana del dopoguerra ha cominciato a mostrare la corda emergono periodicamente leader politici che catalizzano un ampio consenso nell’opinione pubblica alimentando l’aspettativa di un rafforzamento dei processi decisionali, di una maggiore autonomia del potere esecutivo, di una sua più immediata corrispondenza con la sovranità popolare. E puntualmente contro di essi si forma una ampia coalizione tra  le forze politiche, sociali, istituzionali (magistratura, grand commis, amministrazione pubblica), mediatico-intellettuali interessate a mantenere in piedi un assetto di poteri consociativo e ad espellere il “corpo estraneo”, additandolo come eversore antidemocratico.
È accaduto con Craxi, con Berlusconi, con Renzi, e su un piano più obliquo con Cossiga. Ora, a quanto pare, il nuovo catalizzatore del “tutti contro uno” è Matteo Salvini. Se dovesse nascere il governo “giallorosso” tra Pd e M5S, o un’altra soluzione-ponte alla crisi incautamente avviata dal leader leghista, ancora una volta le forze dell’establishment consociativo, minoritarie nel consenso popolare, avrebbero ottenuto (anche facendo ricorso massicciamente al “vincolo esterno” europeo, come nel caso del fronte anti-berlusconiano) l’obiettivo di “sterilizzare” la spinta decisionista proveniente dalla società.

C’è qualche possibilità che Salvini possa sfuggire a questa strettoia, e riuscire laddove gli altri leader decisionisti hanno fallito, o sono stati fortemente ridimensionati?

Indubbiamente, rispetto ai casi precedenti, le forze  consociative appaiono oggi molto più fragili e divise al loro interno. E lo scenario internazionale più movimentato dà alle forze “sovraniste” come la Lega e Fdi non poche carte da giocare.

Ma ammesso pure che, come Berlusconi, Salvini possa vincere ancora molte battaglie, resta il fatto che per prevalere nella guerra necessiterebbe di un salto di qualità nella sua leadership, ad oggi difficilmente prevedibile. Una destra anti-consociativa a guida sovranista può avere concrete prospettive di duraturo successo in Italia soltanto a due condizioni, finora sempre eluse:

1) superare la logica dell'”uno contro tutti” attraverso la formazione di un solido rassemblement in grado di sintetizzare organicamente, senza minare la ledership personale, le culture politiche liberale, cattolico-democratica, conservatrice (il fallimento del Pdl berlusconiano da questo punto di vista è stato a suo tempo fatale);

2) perseguire coerentemente e con convinzione una trasformazione organica in senso maggioritario (sistema elettorale anglo-americano, presidenzialismo) della democrazia italiana, contrastata sistematicamente dai fautori del potere di veto da parte delle lobby e corporazioni italiane.

Non a caso, soprattutto sul muro delle mancate riforme istituzionali Craxi,  Berlusconi e Renzi hanno mostrato a suo tempo tutti i loro limiti e visto tramontare i loro progetti.

La sfida di Salvini, oltre la logica de “l’uno contro tutti”. Lezione del prof. Capozzi

Di Eugenio Capozzi

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