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Altre centinaia di arresti a Mosca (700 dicono i monitor locali) che si sommano agli oltre mille della scorsa settimana per le proteste che si sono scatenate in diverse città russe dopo che le autorità non hanno ammesso diversi candidati delle opposizioni nei collegi locali per le elezioni della Duma.

Si voterà il prossimo 8 settembre in un contesto elettorale che non è estremamente favorevole a Vladimir Putin, che siede fermamente al Cremlino da un ventennio, ma che negli ultimi mesi ha visto ridursi la base dei consensi con il suo partito, Russia Unita, in crisi di voti. Tra le persone arrestate oggi anche la leader dell’opposizione, Lyubov Sobol, esclusa anche lei dalla corsa elettorale; stessa sorte toccata la scorsa settimana al frontman degli anti-Putin, Alexei Navalny, finito anche in ospedale per un sospetto avvelenamento mentre era in carcere.

La situazione per le strade di Mosca è ultra draconiana. Le persone vengono arrestate per strada da ronde della polizia senza aver fatto niente, “pescano a caso tra le persone in strada. Praticamente i manifestanti hanno fatto una specie di flash mob, perché neanche oggi le manifestazioni sono state autorizzate (è il modo con cui le autorità si preservano la possibilità di agire con pene pesanti e misure dure, ndr). A quel punto la polizia ha cominciato a girare in gruppi di quattro, a incudine, prendevano qualcuno e lo portavano via. Inizialmente facevano perquisizioni, se ti trovavano addosso anche soltanto un volantino finivi sul cellulare”, ci racconta Cristiano Tinazzi, giornalista freelance esperto di situazioni calde che è a Mosca, in mezzo alle manifestazioni, da una settimana.

“Ho visto caricare dei gruppi di ragazzini. Ma è tutto diverso rispetto a quel che succede da noi. Non siamo davanti a qualcosa di simile ai gilet gialli. La gente non reagisce alle cariche e alle perquisizioni, al massimo si ripara. Perché qui, se ti denunciano per aggressione a un poliziotto in una rissa del genere finisci per beccarti dai cinque ai dieci anni. Le persone restano ferme anche davanti alle manganellate, si proteggono, ma niente di più. Per non parlare poi del rischio di finire sotto torture e pestaggi in caserma. In tanti non partecipano perché temono certe conseguenze”, continua Tinazzi. È un’informazione preziosa, perché da Mosca viene fatto uscire un clima diverso, una sorta di proteste riottose contro la polizia: e invece sembra trattarsi di manifestazioni tendenzialmente pacifiche su cui però il governo interviene con mano pesante.

Il reporter italiano sta girando un reportage per la trasmissione “Segni dei Tempi” della Rsi, e racconta che mentre stava intervistando un ragazzo, una signora si è avvicinata urlandogli di non ascoltarlo perché “questi (i manifestanti, ndr) vogliono fare un altro Maidan”. “È ridicolo — dice Tinazzi — ma è la conseguenza della narrazione costruita dai media controllati, ossia la propaganda sulle proteste organizzate dall’esterno. La gente non è stupida, ma qualcuno ci crede”. È un atteggiamento classico dei regimi totalitari, incolpare qualcuno dall’esterno per le proteste scoppiate dopo anni di malessere creato dalle azioni di governo inique dei regimi stessi.

(Foto: Cristiano Tinazzi, un estratto dal suo reportage)

 

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