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“C’è stata un tempo la grande questione d’Oriente, cioè la questione del riassetto dei territori ottomani dopo il crollo dell’impero della Sublime Porta. Quella questione fu affrontata con la spartizione coloniale tra le grandi potenze europee. Ora quella questione si ripropone, divenendo la grande questione d’Occidente. Cioè il riassetto dei territori occidentali che alcuni soggetti giocano anche usando la carta dello scontro con l’Islam e della protezione dei cristiani di quelle terre. Questa protezione, rivendicata oggi come allora dai russi, fa dei cristiani dei Paesi arabi una pedina fondamentale della strategia neo-imperiale di Mosca, che si presenta come la grande depositaria della difesa degli antichi valori, della tradizione”.

Seduto in un caffè di Beirut uno dei più autorevoli editorialisti, di religione cristiana, Michel Haji Georgiu, ritiene importante partire dal passato per capire il presente. La sua lettura è condivisa dal direttore della pubblicazione scientifica dell’università dei gesuiti, Antoine Courban, che in una casa piena di libri antichi e moderni quasi procede nel ragionamento di Haji Georgiu. “È quasi lo schema di Mosca quale Terza Roma, dopo quella dell’impero di Augusto e poi di Costantinopoli, e il vento che soffia del Cremlino la rafforza indicando il nemico nell’Islam e l’esercito russo vero protettore di ciò che resta dei ‘cristiani perseguitati’ in Libano, Siria, Iraq e in Egitto. Questa ideologia della persecuzione non fa i conti con i numeri: le vittime musulmane dei terroristi sono tantissime in tutti i Paesi citati, così questa ideologia tende piuttosto a impossessarsi delle Chiese d’Oriente per farne un simbolo del ritorno dell’impero cristiano nel tempo nuovo, intento a proteggere anche quei sovranisti identitaristi euroscettici, indispensabili a togliere di torno l’ingombrante soggetto europeo, potenza economica e culturale che ridimensiona il ruolo globale di Mosca”.

Il crescente ruolo di organizzazioni di “volontariato” come SOS Chretienne d’Orient, costituita in buona parte da figli di militari francesi di orientamento nostalgico e apprezzata dal Fronte Nazionale della signora Le Pen, con sede anche a Beirut, si unisce a progetti dal sapore strumentale. I giornali libanesi infatti hanno dato grande rilievo al finanziamento da parte ungherese della ristrutturazione di 38 chiese libanesi. “Non sono i soldi a fare difetto a noi maroniti nel mondo, eppure l’impegno ungherese è stato annunciato dal ministro degli esteri, maronita come suo suocero, il nostro Presidente della Repubblica”, osserva Saad Kiwan, direttore di Libanese Quora, sito web di attualità e analisi.

Proprio il presidente e il ministro-parente, insieme alla figlia-sposa, hanno incontrato il presidente russo Putin, incontro al quale non è stato ammesso l’ambasciatore libanese in Russia. “Per qualcuno era la politica di partito, più che di Stato, al centro del colloquio”, conviene l’analista e docente universitario Sami Nader. Si tratterebbe di quell’alleanza delle minoranze che tanto piace al Cremlino e che ha determinato l’elezione dell’ex generale Aoun alla presidenza libanese. L’alleanza delle minoranze sarebbe il nuovo mantra mediorientale: dopo aver sostenuto per anni che i cristiani in Medio Oriente potevano sopravvivere in Paesi comuni ai musulmani solo se si fosse riusciti a fargli riconoscere i loro pieni diritti di cittadini alla pari con i musulmani e non come “minoranze”, ora che questo obiettivo epocale è stato sottoscritto in una dichiarazione congiunta tra il papa e l’imam dell’università islamica di al-Azhar, principale istituzione religiosa del mondo sunnita, la definiscono “non credibile”.

L’Islam non cambierà mai, quindi è inutile leggere i documenti, meglio guardare alla realtà e allearsi tra minoranze religiose e la minoranza dell’Islam, gli sciiti. Parte integrante, ricca e vitale di quella religiosa, gli sciiti in Libano sono Hezbollah, partito khomeinista che ha favorito l’elezione del presidente negando il proprio sostegno e quello dei propri alleati a qualsiasi altro candidato. Saldare questa alleanza tra comunità religiose in termini religiosi vorrebbe dire tanto, forse troppo. Vorrebbe dire ad esempio che i cristiani non ritengono possibile convivere con i sunniti. La comune cittadinanza, ritenuta per secoli riprova di disponibilità dei musulmani al vivere insieme in uno stato laico, non governato da leggi religiose, ma da leggi comuni e condivise, sarebbe inutile, o impossibile, anche se accettata dalla massima autorità musulmana.

Impaurito dal passaggio da una guerra feroce allo spettro di un’altra, o dall’accavallamento di conflitti devastanti, l’arabo odierno si accorge così che ad essere uccisa, con la politica, è stata la religione spirituale, ridotta dai conflitti e dai suoi interessi economici a “strumento d’odio”. La cartina di tornasole di questo l’abbiamo con le reazione proprio alla dichiarazione di fratellanza, firmata da Papa Francesco e dall’imam al Tayyeb, ad Abu Dhabi. “I governi e gli imam legati all’Islam politico della Fratellanza Musulmana, Qatar e Turchia, l’hanno criticata non per quello dice, nessuno è riuscito a trovare una frase non apprezzabile, ma per la sede dove è stata firmata, l’Abu Dhabi coinvolta nella guerra yemenita”, spiega ancora Sami Nader.

In effetti viene spontaneo domandarsi: e dove si sarebbe potuti andare? Nella Beirut che riconosce il diritto di Hezbollah a restare in armi anche nel conflitto siriano? Nella Damasco di Assad? Nella Cairo dei processi di massa di al-Sisi? O forse a Riad? Dove? Forse nella lontana Algeria, scossa dalle proteste contro i generali? E così la prima visita di un Papa nella penisola arabica svapora. Prosegue Sami Nader: “Ma anche il sostegno degli Emirati appare più politico che altro, teso cioè ad affermare che il loro è l’Islam moderato, perché contrapposto a quello di Qatar e Turchia, cioè all’Islam politico”. Cadere in questa trappola è esiziale per i cristiani, per la loro stessa sopravvivenza come realtà sociale e culturale del mondo arabo. Lo dicono i fatti: tutti i gruppi di volontariato che lavorano con i profughi in Libano confermano che i cristiani siriani non tornano, non ritengono possibile tornare nella Siria degli Assad. Nella stessa Aleppo “riconquistata da Assad” con l’aiuto dei russi i cristiani sarebbero oggi quanti erano diventati durante il conflitto, meno di 30mila. Perché?

Così spiega tutto l’unico musulmano che ha partecipato a due sinodi della Chiesa cattolica e discusso con Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco: “Sappiamo bene che quando molti patriarchi andarono al Cairo per partecipare all’incontro sulla cittadinanza promosso dall’Università di al-Azhar furono invitati al palazzo presidenziale, per una foto comune. Rimasero sorpresi dall’assenza dell’imam di al Azhar”. La politica usa i cristiani oggi come li usò ai tempi della questione d’Oriente, per legittimarsi agli occhi dell’Occidente. Con il rischio di fare apparire i cristiani quinte colonne di regimi dispotici. Chi ne fa gli interessi, riportandoli a ruolo di attori imprescindibili, è la Dichiarazione sulla Fratellanza: “L’unica Chiesa che ha la forza e la distanza dalla politica necessaria a promuoverla è quella maronita. Roma dovrebbe coinvolgerla di più”, osserva determinato Fares Souaid, ex deputato e presidente dell’Associazione Madonna della Montagna.

corea del nord kim putin

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