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Un ingresso a gamba tesa nella nuova era della competizione globale. Tra missili balistici, rivendicazioni territoriali e piani per un cospicuo incremento del bilancio, Pechino accetta il trend disegnato dall’amministrazione Trump e conferma la sfida diretta con Washington per il predominio dell’influenza sugli scenari internazionali. È quanto emerge dal documento intitolato “La Difesa nazionale della Cina nella nuova era”, la strategia del Dragone per affrontare la complessità del contesto mondiale attuale e futuro. La pubblicazione di una cinquantina di pagine in lingua inglese è il messaggio ai competitor: Pechino ci tiene a far conoscere le proprie ambizioni e a rivendicare i propri interessi.

IL MONDO DELLA DIFESA VISTO DA PECHINO

Come per ogni documento strategico, la prima parte è dedicata al contesto internazionale. Ne emerge la visione del mondo della Cina, una lettura indispensabile per capirne le mosse nei vari contesti. “Il sistema internazionale di sicurezza è minato da crescente egemonismo, politiche di potenza, unilateralismo e costanti conflitti regionali”, si legge. Il riferimento è tutto agli Stati Uniti, con specifiche che rispondono ai documenti strategici dell’amministrazione Trump nei quali si individuava la Cina quale primo competitor. Un’etichetta contraccambiata dai cinesi: “La competizione strategica internazionale è in crescita; gli Stati Uniti hanno modificato le proprie strategia di difesa e sicurezza, adottando politiche unilaterali; ciò ha provocato e intensificato la competizione tra i maggiori Paesi, aumentato considerevolmente le loro spese per la difesa e spinto per capacità aggiuntive sul fronte nucleare, spaziale, cibernetico e delle missilistica, minando la stabilità strategica globale”.

GLI ALTRI COMPETITOR (SENZA L’ITALIA)

Poi, in successione, gli altri competitor: la Nato, che “ha continuato il proprio allargamento e accelerato il dispiegamento militare in Europa centrale e orientale”, conducendo frequenti esercitazioni militari, e la Russia, che “sta rafforzando le capacità nucleari e convenzionali per il contenimento strategico, provando a salvaguardare i propri interessi e gli spazi di sicurezza” (per Mosca ci sono comunque anche messaggi più dolci e improntati alla collaborazione). Menzione speciale per l’Unione europea: “Sta accelerando l’integrazione nel campo della sicurezza e difesa per essere più indipendente”. C’è poi l’attenzione agli aspetti più operativi. Su questo, si citano gli sforzi di modernizzazione militare di Washington e Mosca, ma anche di Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e India (non l’Italia), che “stanno ribilanciando e ottimizzando la struttura delle proprie Forze armate”. Per quanto riguarda la regione Asia-Pacifico, “la situazione rimane generalmente stabile”, nota il documento, evidenziando altresì il ruolo stabilizzatore cinese e criticando invece le manovre Usa (a partire dal dispiegamento del sistema Thaad in Corea del Sud) e citando Giappone e Australia quali Paesi dalle consistenti ambizioni regionali.

GLI INTERESSI DA DIFENDERE

Posto questo contesto, il documento identifica gli interessi. Si va dalla “deterrenza contro le aggressioni”, all’opposizione e contenimento della “indipendenza di Taiwan”, passando per la repressione dei movimenti indipendentisti del Tibet. Particolare attenzione è posta alla “salvaguardia di diritti e interessi marittimi cinesi. Sul punto, Pechino ribadisce che le acque contese del Mar cinese meridionale e le isole Senkaku (che la strategia identifica con il nome cinese di Diaoyu) sono “parte inalienabile del territorio della Cina”. C’è anche la conferma delle ambizioni da influenza “oltre mare”, con il riferimento al dispiegamento di truppe lontano dai confini nazionali. È il caso della base a Gibuti, entrata in servizio ad agosto 2017, e delle operazioni condotte nel Golfo di Aden, inaugurate nel 2015 con “il primo intervento diretto in un’area di ingaggio finalizzata all’evacuazione di persone durante il deterioramento della situazione in Yemen”.

VERSO LA STRATEGIA MILITARE (E NUCLEARE)

Per difendere tali interessi, il documento suggerisce l’adozione di linee-guida per una strategia militare basata sui principi di “difesa, auto-difesa e risposta al primo colpo”. Il riferimento alla “second strike capability” è tanto per gli armamenti convenzionali quanto per quelli nucleari. Nonostante la strategia sottolinei che “la Cina è sempre impegnata in una politica nucleare di non primo utilizzo in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza”, prevede anche una strategia nucleare per “mantenere la sicurezza strategica nazionale dissuadendo altri Paesi dall’utilizzo, o dalla minaccia di utilizzo di armi nucleari contro il Paese”. In più, specifica che le capacità nucleari rappresentano “la pietra angolare per salvaguardare la sovranità nazionale e la sicurezza”. Per quanto riguarda gli assetti, “i vecchi equipaggiamenti sono in fase di eliminazione, sostituiti da armi nuove e ad alta tecnologia”. Si citano i carri armati Type 15, i cacciatorpediniere Type 052D, i caccia J-20 e i nuovissimi missili balistici DF-26, tutti già commissionati dal governo.

FORZE ARMATE PER LA NUOVA ERA

Sul fronte prettamente organizzativo, si richiede di ultimare la meccanizzazione delle Forze armate entro il 2020, nonché di “avanzare in modo completo nella modernizzazione” di tutti i segmenti entro il 2035, dalla teoria militare alle strutture di vertice, dal personale ai sistemi d’arma. L’obiettivo a lungo termine entro la metà del secolo, che suona come un campanello dall’allarme per Washington, è completare la piena trasformazione delle Forze armate in strumento “world-class”, cioè senza eguali nel mondo. Con circa 2 milioni di militari in servizio attivo, la strategia scende nel dettaglio della riorganizzazione, ispirata al concetto interforze e all’efficientamento dello strumento complessivo, con la riduzione dei comandi e il rafforzamento di una gestione unificata e legata direttamente al Partito. Sono obiettivi ambiziosi, definiti su una tabella di marcia pluridecennale impossibile per qualsiasi Paese occidentale legato a democrazia, Stato di diritto e, dunque, all’alternanza di governi.

UN BUDGET “RAGIONEVOLE E APPROPRIATO”

Singolare il capitolo dedicato al budget per la Difesa. Seppur in crescita costante da oltre dieci anni, viene considerato ancora troppo basso per le ambizioni da super potenza. Nel 2017, si legge nel documento, alla Difesa cinese sono andati 1.043 miliardi di yuan, pari a 152 miliardi di dollari (la spesa italiana si aggira sui 20 miliardi, quella Usa sui 700, solo per avere dei termini di paragone). A preoccupare la dirigenza è tuttavia il calo del suo peso sul Pil. Nel 1979 il budget militare era pari al 5,43% del prodotto interno lordo, seguito da una discesa fino all’1,26% registrato nel 2017. Perciò, “la Cina si sta adoperando per ridurre il divario tra il suo strumento militare e quello dei principali Paesi al mondo e per colmare le lacune per la guerra moderna; le spese per la difesa sono in costante aumento e la ripartizione delle spese viene continuamente ottimizzata”. Da notare, c’è l’invidiabile (ma comunque distorto) bilanciamento del budget: il 41% viene dedicato agli equipaggiamenti (il nostro Investimento); il 28% ad addestramento e attività di supporto (il nostro Esercizio) e il 30% al personale.

LA DIFESA SPAZIALE

Una particolare menzione spetta allo spazio extra-atmosferico, identificato senza giri di parole come “un ambiente critico nella competizione strategica internazionale”, legato agli aspetti di “sviluppo nazionale e sociale”. L’interesse cinese, spiega la strategia, è per “un uso pacifico dello spazio cosmico”. A tal fine, “la Cina partecipa attivamente alla cooperazione spaziale internazionale, sviluppa tecnologie e capacità nel settore, promuove la gestione olistica delle fonti di informazione spaziali, rafforza la Space situational awareness, salvaguarda i propri assetti spaziali (qui c’è la difesa, ndr) e migliora la capacità di sicurezza, ingresso, uscita e utilizzo dello spazio”.

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