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La Cina dice di aver reagito con una “protesta solenne” agli Stati Uniti dopo che la sua punta di diamante tecnologica, Huawei, è stata inserita in una lista nera di società sospette che sta causando lo stop a diversi affari con aziende americane e non solo. Ma oltreoceano i guai per la telco di Shenzhen, sotto la lente dei servizi d’intelligence americani (e non solo) per i presunti legami col governo di Pechino, proseguono senza sosta.
In particolare, racconta il Wall Street Journal, sta entrando nel vivo lo scontro con un’azienda della Silicon Valley produttrice di semiconduttori, Cnex, che ha denunciato un tentativo di furto da parte di un manager della compagnia cinese, Eric Xu. Nello specifico, la start-up americana – fondata nel 2013 proprio assieme ad un ex dipendente di Huawei – avrebbe ideato un’innovativa tecnologia di archiviazione Ssd in collaborazione con l’università cinese Xiamen University.

IL CASO

Secondo Cnex Labs, Xu avrebbe provato a sottrarre il know-how passando proprio per l’ateneo che ha sostenuto la ricerca, sfruttando probabilmente i legami che la società aveva con Huawei a causa del passato di uno dei suoi fondatori. L’azienda Usa – riporta il Wsj – crede che Xu avrebbe convinto un ingegnere di Huawei ad analizzare le informazioni tecniche di Cnex. L’ingegnere avrebbe poi proposto l’azienda californiana come potenziale cliente per estrapolare dettagli sulle sue attività, oltre ad aver tentato di raccoglierle anche dalla Xiamen University. Accuse respinte dagli avvocati di Huawei, che hanno ammesso la partecipazione al team che richiese dati sulla tecnologia di Cnex, negando però il furto di segreti commerciali.

UNA QUESTIONE COMPLESSA

Le frizioni tra Huawei e Cnex risalgono a ottobre scorso, quando il cofondatore dell’azienda Usa Yiren “Ronnie” Huang spiegò la sua versione dei fatti presso la corte federale del Texas. A sua volta la telco cinese rivolse nel 2017 un’accusa analoga contro l’impresa americana. In quel caso è stato Huang, in quanto ex dipendente di Huawei e cofondatore di Cnex, ad essere incolpato.
La disputa è dunque complessa, e proseguirà con un’audizione di manager di Cnex prevista per il 3 giugno, ma segnala comunque quanto lo scontro tecnologico tra Usa e Cina abbia una portata ampia.

UNO SCONTRO A TUTTO CAMPO

Anche perché, dopo Huawei, gli Stati Uniti potrebbero inserire altre aziende cinesi nella “Entity list”. Nello scontro tecnologico ormai globale tra Washington e Pechino, nel mirino dell’amministrazione Trump sono infatti entrati ora anche colossi cinesi di prodotti di videosorveglianza come Hikvision, che potrebbe a breve subire le stesse limitazioni imposte ad altre imprese della Repubblica Popolare, sospettate di costituire un potenziale veicolo di spionaggio a beneficio della madrepatria.
In verità la portata del ‘ban’ dei colossi tecnologici cinesi sarebbe ancora più larga. Washington – ha scritto Bloomberg, che ha sentito fonti al corrente della questione – avrebbe puntato in totale cinque aziende (già segnalate ad alcuni membri del Congresso), tra le quali comparirebbe anche un altro colosso della videosorveglianza, Dahua.
E, a questo, va sommata la partita ancora aperta con Huawei e con la sua numero 2, Meng Wanzhou, figlia del fondatore Ren Zhengfei, accusata di aver violato le sanzioni Usa all’Iran.
Nel frattempo, riferisce sempre il Wsj, a Washington una proposta di legge bipartisan prevede di stanziare fino a 700 milioni di dollari per aiutare le aziende di telecomunicazioni, soprattutto nelle aree rurali, a rimuovere dalle loro infrastrutture, e a rimpiazzare, le apparecchiature di Huawei, Zte e aziende affiliate. La legge prevede anche il divieto usare i prodotti e i servizi di Huawei e Zte nelle reti 5G sviluppate in Usa (una scelta che l’amministrazione americana vorrebbe che anche a partner e alleati compiessero per ragioni di sicurezza).

huawei, Handelsblatt

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