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Dopo il golpe farlocco del 2016 in Turchia sono stati arrestati non soltanto militari, magistrati, intellettuali o oppositori, ma anche giornalisti. È il caso dei redattori del giornale filocurdo Özgürlükçü Demokras, ovvero Mustafa Armağan, İsmail Avcı, Bünyamin Aldı e Abdullah Dirican che si sono sommati ad altri, a dimostrazione del clima che si respira nel Paese. Ad incrementare i dubbi sulla libertà di stampa, ecco una vicenda che riguarda i legami tra stampa filogovernativa turca e media internazionali, finiti in una vicenda penale.

TRASPARENZA

L’Unione di Turchia dei giornalisti (TGS) e l’Associazione per i media e gli studi legali (MLSA), una ONG che offre protezione legale ai giornalisti, si preparano a intraprendere azioni legali contro la Fondazione per la ricerca politica, economica e sociale (SETA), un serbatoio con stretti legami con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il suo partito al governo. Secondo le accuse diversi giornalisti, fondazioni e sindacati di giornalismo hanno denunciato il rapporto pubblicato dal SETA per criminalizzare il giornalismo usando tattiche ombrose di raccolta di informazioni.

Il rapporto intitolato “Le estensioni della Turchia delle organizzazioni internazionali dei media” copre informazioni dettagliate su numerose importanti fonti di notizie, tra cui noti media internazionali. Il rapporto SETA esamina i media stranieri dalla loro fondazione fino ad oggi. Le informazioni su ogni giornalista e commentatore includono curricula dettagliati ed esempi dei relativi post sui social. Il rapporto dettaglia non solo i post di quei giornalisti sui social media, ma anche i loro retweet e le persone che hanno ritwittato i loro post.

NUOVA STASI?

Il rapporto ha suscitato scalpore e forti critiche che hanno accusato SETA di aver preso di mira i giornalisti adottando i classici metodi utilizzati dalla polizia turca per la raccolta di informazioni, sulla falsa riga di come faceva la Stasi durante la guerra. Un nuovo grande fratello erdoganiano, stando alle accuse, che avrebbe il compito di monitorare attentamente penne e mouse.

La denuncia si somma al paper redatto nel 2018 del Free Journalists Initiative (ÖGİ) secondo cui in due anni le autorità turche hanno fermato 189 giornalisti, di cui almeno 58 sono in stato di arresto in attesa di processo. Chiuse almeno cinquanta testate, tra online e cartaceo; ritirato il tesserino dell’ordine ad almeno cento giornalisti. In totale negli ultimi tre anni a 81 giornalisti sono state comminate pene per quasi 200 anni di carcere e quasi 100mila dollari di ammenda.

DUE CASI

Da citare due casi su tutti: quello del più antico quotidiano turco, il Cumhuriyet, i cui vertici sono stati arrestati nel 2017. Il noto cronista Ahmet Șık, mentre si apprestava a leggere una memoria difensiva, è stato espulso dall’aula del tribunale che lo stava giudicando. E quello del quotidiano Hürriyet, recentemente acquistato dalla famiglia di tycoon turchi Demirörens con l’obiettivo di silenziare le voci critiche contro il governo.

Prima di Hurriyet gli editori in questione hanno messo le mani su terzo dei media turchi, inclusa la CNN Türk. L’accusa rivolta a tutti è sempre la stessa: essere al soldo del predicatore Fetullah Gulen, ex sodale di Erdogan, attualmente in esilio in Pennsylvania.

QUALE UE?

Uno dei capitoli maggiormente controversi dei rapporti tra Ue e Turchia verte proprio sulla libertà di stampa, monitorata più volte negli ultimi anni quando era all’ordine del giorno un possibile ingresso di Ankara tra gli Stati Membri. Il motivo è questo: da anni la Turchia è uno dei paesi che è regolarmente in cima alla lista di quelli che usano incarcerare i lavoratori della stampa. Per questa ragione è nato il Comitato per proteggere i giornalisti. Ma anche quando i giornalisti turchi non sono in prigione, si può dire che non sono veramente liberi.

È il caso del portavoce di Free Journalists Initiative, Hakkı Boltan, che sarà processato a Diyarbakir con l’accusa di aver “insultato il presidente” e “insultato un dipendente pubblico a causa del proprio dovere”. Le accuse si riferiscono ai fatti risalenti al 2016 sugli scontri nella città sud-orientale di Cizre tra forze turche e ribelli curdi. Appuntamento in aula il 14 novembre.

twitter@FDepalo

Il nuovo grande fratello di Erdogan per spiare i giornalisti

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