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Il quotidiano economico Vedomosti, uno dei media più indipendenti nello scenario impegnativo russo, ha pubblicato due giorni fa un’intervista al vicepremier Yuri Borisov la cui analisi diventa uno spaccato evidente su come la ditta delle telco cinese Huawei sia in procinto di consolidare – per conto di Pechino – il collegamento tra Russia e Cina. Un ruolo determinante, più che per la dimensione commerciale, per il valore geopolitico sull’asse Mosca-Pechino proiettato sull’Eurasia.

Prima di andare avanti, una precisazione necessaria che spiega qualcosa in più sulle parole di Borisov: chi è. Politico schivo, ex militare decorato, è stato precedente viceministro della Difesa (responsabile degli armamenti, in continuo contatto col Comando supremo) fino a quando, il 7 maggio del 2018 ha ricevuto una telefonata dal premier Dmitri Medvedev che s’è presentato con una richiesta netta: fai il mio vice. Ruolo accettato, con l’incarico di supervisione su spazio e industria della difesa. Borisov non parla spesso, ha vissuto la sua carriera muovendosi tra i gangli del governo, ora ha acquisito una posizione molto importante – soprattutto per le deleghe affidategli – e anche per queste ragioni le sue dichiarazioni diventano interessanti. Fine dell’inciso.

A un certo punto, gli intervistatori gli pongono una domanda a metà tra il tecnico e il programmatico sul 5G, ossia la nuova tecnologia per il trasferimento dei dati mobile che è considerata una delle avanguardie hi-tech che cambierà gli standard di vita generali. È una questione su cui è in corso un’accesa competizione che vede da una parte la Cina, con ditte come Huawei, accaparrarsi fette via via più grosse di mercato, e dall’altra gli Stati Uniti impegnati a creare un firewall per difendere gli alleati dalla penetrazione cinese nei mercati interni – perché si ritiene che Huawei possa lasciare aperte backdoor per permettere ai servizi di spionaggio di Pechino di allungare l’occhio tra i dati dei clienti.

Qual è la sua opinione sulla recente decisione di Vladimir Putin di sviluppare il 5G nella gamma di frequenze 4,4-4,9 GHz? Alla richiesta dei giornalisti, Borisov risponde tecnicamente giustificando la scelta dell’ufficio presidenziale per ragioni di interesse legate anche la mondo militare, poi ampia lo scenario e fa capire che questo permetterà alla Russia di ridurre la dipendenza dagli hardware stranieri, magari creando partnership con alcuni fornitori. Ma l’unico fornitore di apparecchiature in grado di operare in quelle fasce di frequenze è Huawei, fanno notare i giornalisti: “Beh, cosa c’è che non va?” risposta del vicepremier russo. Il suo paese d’altronde ha chiuso un accordo di cooperazione sul settore a giugno, con firme a livello presidenziale durante l’ultimo faccia a faccia tra Putin e Xi Jinping.

Borisov spiega che una partnership con Huawei nel settore sarebbe “una sfida” (velatamente: il rapporto tra Russia e Cina non è liscio come l’olio, ma basato sul mutuo interesse giocato sostanzialmente in chiave anti-occidentale), ma anche “una speranza”. È un passaggio interessante questo, perché il politico russo è un uomo degli apparati di difesa e industria collegata, quelli che hanno da sempre una visione nazionalista e sino-scettica. Alexander Gabuev, analista del Carnegie Moscow Center, commenta via Twitter: “Leggendo tra le righe dell’intervista di Borisov, e sulla base delle mie recenti conversazioni con funzionari russi e dirigenti aziendali, concludo che il consenso al Cremlino si sta inclinando verso una linea semplice: se la Russia deve costruire il 5G, la dipendenza da Huawei è inevitabile”.

Se si fa eccezione di Tele2 (che lavora con Ericsson), la Huawei fornisce già l’hardware base a tutti gli operatori di telecomunicazioni in Russia, MTS, MegaFon, Beeline, e da anni s’è creata un mercato solido nell’Eurasia. Questo successo commerciale, spiega Gabuev, è legato anche alla capacità della ditta cinese di avallare la narrativa russa. Putin sa che per le sue aziende vantare ruoli nella catena produttiva e sperimentale di alto livello della Huawei è importante (vedi il caso recente del sistema Aurora per tablet, per esempio), e ha trovato a Pechino (o meglio, a Shenzen, sede della Huawei) chi comprende questa psicologia.

La società cinese ha deciso che pur di espandersi e collegarsi in Russia – collegamenti fisici, attraverso linee e hardware, ma anche politici e geopolitica in un quadrante cruciale per il rapporto futuro tra Occidente e Oriente – accetta questi desiderata. Integra specialisti russi e ditte di fornitura nella supply chain regionale, aggiunge personale qualificato russo ai propri ranghi, è interessata alle attività di ricerca delle start-up russe.

Gabuev fa una considerazione importante: ad aver mosso i sino-scettici russi – gli uomini del mondo delle industrie strategiche e i pensatori politici – su una posizione più aperta alla Cina è stata una necessità pragmatica legata alle sanzioni americane ed europee (che hanno tagliato l’approvvigionamento di materiale tecnologico). Nel caso, si sta verificando quello che due filoni teorici dell’avvicinamento occidentale alla Russia, i francesi dietro alla presidenza Macron e alcuni teorici arrivati al potere con la Casa Bianca Trump, temono. Ossia che l’isolamento ad Ovest possa portare la Russia nelle braccia del Dragone.

C’è un pezzo in più, che dà un’altra dimensione dietro a questo allenamento, però: la comunione di intenti e visioni tra due regime di governo autoritari. I russi temono che le tecnologie occidentali possano essere troppo democratiche, ossia non includere dei sistemi di “killer switch” per disabilitare certi servizi. Quella forma di censura che in Russia non è nuova: per esempio, spesso le proteste delle opposizioni si portano dietro la sospensione della fornitura dei servizi internet o il blocco dei social network. Le democrazie liberali occidentali hanno sistemi di legge che impediscono certe manovre illiberali e i sistemi hardware/software potrebbe essere progettati di conseguenza. In Cina no, anzi. E questa potrebbe essere un’altra garanzia di qualità dei prodotti Huawei.

Una questione che non dispiace nemmeno ad altri potenziali acquirenti in svariati paesi dell’Eurasia. Satelliti russi come per esempio il Kazakistan, o Uzbekistan e Kyrgyzstan, paesi dove il concetto di smart city che il 5G dovrebbe implementare si fonde facilmente con la sorveglianza a favore dei regimi al potere.

È Huawei il vettore dell'alleanza fra Pechino e Mosca?

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