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I leghisti fedeli fino allo stremo al Capitano. Gli elettori grillini sempre più vicini alle istanze dem e favorevoli al governo giallorosso. Uno spazio che si apre, e si allarga di giorno in giorno, per un partito moderato e pro-impresa. Sono solo alcune delle sorprese che rivela l’ultima ricerca di Swg sulle intenzioni di voto degli italiani. La ripercorriamo con il suo direttore scientifico Enzo Risso.

Professore, la Lega rimane il primo partito, ma paga un prezzo per aver staccato la spina al governo.

Il contraccolpo è relativo. Il consenso della Lega è del 33,6%, ha perso solo lo 0,7% rispetto al 34,4% delle elezioni europee. Il calo dimostra che in questa fase chi genera instabilità non viene premiato, la gente si aspetta di legittimare con il voto governi che durino più di un anno.

L’elettorato leghista ha seguito il leader nella rottura?

Sì, e risulta evidente dal livello di fiducia di cui gode oggi Salvini all’interno della Lega. A luglio, prima della rottura, aveva il 91% dei consensi, ora il 95%. La grande maggioranza degli elettori leghisti ha approvato il divorzio. Il 36% sostiene che alla base della crisi ci siano i troppi no da parte dei Cinque Stelle. Solo l’8% si dichiara contrario alla frattura.

Qui emerge un dato importante. Il consenso accumulato da Salvini al governo è tutt’altro che volatile.

Esatto. Il quoziente di fedeltà dell’elettorato leghista è molto alto, e c’è un dato che lo spiega meglio di tutti. L’indice di riconferma, ovvero delle persone pronte a rivotare Salvini alle prossime elezioni, è del 75%. Una cifra che non ha paragoni in nessun altro partito italiano.

Ci sono precedenti?

Nella seconda repubblica solo il Pds aveva un livello di riconferma così alto. Neanche Forza Italia ai suo massimi arrivava a tanto. Gli elettori azzurri votavano spesso in un modo a livello nazionale e in un altro a livello locale.

Veniamo ai Cinque Stelle. I vostri dati confermano una rimonta.

Rispetto alle europee hanno recuperato il 4% raggiungendo il 21,4% dei consensi.

Effetto Conte?

La tesi non mi convince affatto. Il recupero è dovuto alla quota di elettori che erano finiti nell’astensione per la delusione del governo con la Lega. Uno sguardo ai flussi di voto dell’ultimo anno può aiutarci a capire perché.

Prego.

Alle elezioni del 4 marzo 2018 i Cinque Stelle hanno preso il 32,7%, oggi sono al 21,4%, ovvero hanno perso circa un terzo dei voti. Rispetto al dato iniziale delle politiche solo il 52% dell’elettorato è rimasto fedele, l’altra metà ha cambiato voto. Di questi il 12% è andato alla Lega, un altro 12% ai restanti partiti, e il 24% all’astensione. Ciò spiega in parte la provenienza dell’elettorato pentastellato.

Ovvero?

Come hanno dimostrato i flussi di voto rispetto alle elezioni politiche del 2013 è diviso in tre parti. Un terzo proviene dal centrodestra, un terzo dal centrosinistra, e l’ultimo terzo è costituito dallo zoccolo duro dell’ “anticasta”. Oggi la quota che votava il centrodestra si è prosciugata perché è stata presa da Salvini. Quindi la base maggioritaria del Movimento o proviene dal centrosinistra o è anticasta.

E arriviamo all’accordo per il governo giallorosso, su cui oggi i militanti del Movimento Cinque Stelle decideranno votando su Rousseau. Le premesse per un sì ci sono?

Diciamo che l’elettorato pentastellato oggi confina più con quello di centrosinistra che con quello di centrodestra. C’è un insieme di valori condivisi.

Quali?

Immaginiamo una mappa valoriale usando le definizioni del filosofo Roberto Esposito. Da un lato c’è l’immunitas, ovvero la spinta alla comunità chiusa, alla difesa e al protezionismo, la contrarietà all’immigrazione. Dall’altro la communitas, la società aperta, ambientalista, pro accoglienza. Durante i 14 mesi di governo la quota dell’elettorato Cinque Stelle più sensibile all’immunitas è stata attratta nell’elettorato di Salvini.

In un anno di governo Salvini ha visto raddoppiato il suo consenso. Ora con ogni probabilità lo aspetta l’opposizione. Riuscirà a farla fruttare allo stesso modo?

La Lega al governo ha smentito una regola aurea della politica, che, citando Andreotti al contrario, si potrebbe riassumere così: il governo logora chi ce l’ha. Con Salvini questo non è accaduto. In un anno al potere ha guadagnato il 16% dei consensi. Cioè quasi la stessa quota di consensi guadagnata in cinque anni di opposizione contro il centrosinistra, da quando ha preso in mano un partito al 2,8%.

A grillini e dem è accaduto il contrario. Rischiano di scendere oltre se formano un governo?

Tutto dipende da quanto sapranno rappresentare la spinta alla communitas presente in entrambi gli elettorati. Come diceva Mitterand, oggi vince il partito che sa disegnare un’idea del futuro del Paese.

La sinistra sarà grillizzata o succederà il contrario? Quale dei due elettorati è più permeabile?

Entrambi gli elettorati sono arrivati ai loro minimi, la sinistra alle politiche, i Cinque Stelle alle europee. La vera permeabilità riguarda l’astensione. È quello il pozzo da cui entrambi possono recuperare gli elettori persi.

E i moderati dove guardano?

Il riposizionamento su un unico asse riapre uno spazio per un partito moderato che rappresenti la borghesia progressista, aspirazionale, urbana e metropolitana. Negli ultimi anni questi elettori hanno guardato al Pd o hanno scelto l’astensione. Ora non si ritrovano nel governo giallorosso perché non capiscono come possano unirsi due partiti così diversi nel dna.

I moderati finiti nel limbo sono più a destra o a sinistra?

Convivono due pulsioni. I moderati che guardano a sinistra non si rivedono nel reddito di cittadinanza o nel salario minimo, né hanno intenzione di mettere il mondo imprenditoriale e industriale sul banco degli imputati. Quelli che guardano a destra sono poco interessati dallo scontro sull’immigrazione e danno priorità alla politica fiscale e alle misure che rimettono in moto la macchina dell’impresa.

Perché Salvini e Di Maio non hanno perso. E i moderati...L'analisi di Risso (Swg)

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