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“Crisi di sistema”: più accurato, e preciso, di così il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, non poteva essere. Lo sanno tutti coloro che mentre leggono si chiederanno ancora cosa alla fine accadrà. E già, ma forse la domanda giusta è un’altra: non tanto cosa accadrà, ma “tra chi?”. Tra quale Pd, quale Movimento 5 Stelle, quale Lega? Possiamo, ad esempio, sapere a quale democrazia si voterà il nostro governo? Quella diretta o quella rappresentativa? Nessuna ricetta è immodificabile, ma ognuno dovrebbe sapere di cosa intende parlare.

La Chiesa italiana non può che guardare a tutto questo se non con interesse e preoccupazione per un dato di fondo, quello indicato dal cardinale Bassetti, e che dettagliando Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, ha presentato così secondo il Giornale: “La crisi desta preoccupazione per due motivi. Il primo è legato alla situazione internazionale, la coesione dell’Europa, la tenuta dei conti, la crisi del lavoro”, mentre il secondo riguarda” lo stato morale e spirituale del Paese che sembra diviso, smarrito, impaurito e quindi aggressivo”. E padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, ha guardato in faccia questa aggressività smarrita e impaurita, che lo aveva indotto a parlare di resistenza, chiarendo a La Stampa: “Ho visto avverarsi ciò che già san Giovanni Paolo II aveva paventato quando denunciò una ‘preoccupante rinascita di forme aggressive di nazionalismo’, che egli stesso definì ‘una seria minaccia alla dignità umana che mette in pericolo la coesistenza sociale e la pace’. Il modo di trattare la questione migratoria, le numerose manifestazioni di chiusura e di grettezza. Il discorso politico ridotto a contrapposizione tra sovranismo e cosmopolitismo. Il linguaggio d’odio sdoganato, l’uso dei simboli religiosi per la propaganda. Ho visto in pericolo la dignità umana e l’amicizia sociale”.

Ma il supposto favore della Chiesa, o del Vaticano, a un’intesa Pd-M5S va capito tornando all’intervista di Papa Francesco a Vatican Insider, nella quale non solo ha detto che il sovranismo spaventa, ma ha aggiunto di sentire di nuovo discorsi come quelli di Hitler. Del sovranismo Francesco ha detto: “È un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934. ‘Prima noi. Noi… noi…’: sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura. Un Paese deve essere sovrano, ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti e promossi anche i rapporti con gli altri Paesi, con la Comunità europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre.”

Alcuni, evidentemente sbagliando, hanno interpretato queste parole come riferite all’Italia. No, era molto di più, era un discorso sulla tendenza politico-culturale che emerge in tanti Paesi, quella nazionalista e che si dovrebbe definire suprematista, cioè tesa a fare del blocco etnico di una nazione un “noi” che ha un solo volto, una sola voce, un solo interesse, superiore agli altri. Così possiamo tornare alle guerre. E se questa prospettiva si unisce a simboli e identità religiose il discorso diventa pericoloso. Si potrebbe infatti aprire la strada a un’eresia nata nel mondo ortodosso, quella del filetismo, dal termine greco per dire “tribalismo” e che prospetta delle Chiese etniche o etno-nazionaliste. Condannato con fermezza in due solenni circostanze pan-ortodosse, il filetismo è sempre rimasto, minaccioso, alimentato soprattutto da certi ambienti russi innamorati del mito della Terza Roma: caduta l’antica Roma, caduta Costantinopoli, la seconda Roma, la Terza capitale della cristianità politico-imperiale sarebbe stata Mosca, che non sarebbe mai caduta. Ed ecco allora l’altra minaccia che si collega a questa, quella dalla “sinfonia” tra potere politico e potere spirituale.

Anche nel nostro contesto, con la gestione diretta da parte della politica del sacro e dei simboli religiosi (che non sono lo scudo crociato, ma il rosario, o il crocifisso) una sorta di filetismo potrebbe tentare di trasformare il “noi” della Chiesa, un “noi” universale, in un “noi” etnico, cioè tribale. Usando i simboli religiosi dunque si trasforma, o stravolge, la natura stessa del concetto di Ecclesia, costituita da persone, mai da una massa uniforme. L’Ecclesia, ha chiarito ad esempio il professor Antoine Courban, ortodosso, è costituita da individui perché il cristianesimo riconosce in ogni persona un’icona di Dio, perché ogni persona è a Sua immagine e somiglianza.

Ecco allora che la questione del soccorso, del salvataggio dei naufraghi, dei profughi, dei migranti, degli asilanti, di quello che siano, si chiamino o identifichino come si preferisce, è certamente una questione umanitaria iscritta nel dna della Chiesa, perché è anche una questione che riguarda il cuore del messaggio evangelico, e il famosissimo Matteo, 25: “Ero straniero…”. Questo “noi” non intende certo imporre politiche migratorie, ma si radica su un’idea di essere umano e non può che scegliere di “resistere” civilmente e religiosamente davanti a tentazioni etno-nazionaliste. Quale sarebbe il futuro di un’Europa dove si affermino diversi etno-nazionalismi?

Non solo Trump. Il segno di Francesco (e Bassetti) nella soluzione della crisi

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