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Israele attacca ancora difensivamente. Colpita nella notte una postazione militare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP-CG), una formazione militante che ha formalmente diviso i suoi destini dai gruppi armati palestinesi più noti – con cui mantiene legami, comunque – e puntella il regime siriano rintanato nei centri di comando piazzati lungo la valle della Bekaa nell’est del Libano, al confine con la Siria. Area caldissima, in questi giorni al centro di monitoraggi continui e azioni, perché è controllata da Hezbollah, con cui il Fronte ha legami profondi e agenda quasi comune – e dunque per proprietà transitiva il gruppo palestinese ha legami anche con l’Iran, che è il motore (economico, militare, ideologico) del gruppo libanese.

Lo stato ebraico è in piena attività. Sta martellando i proxy che i Pasdaran usano per diffondere la propria influenza nel Medio Oriente – e per veicolare i propri piani offensivi nei riguardi dello Stato ebraico – in tutta la regione. Attacchi mirati che si succedono con cadenza ormai giornaliera, dalla Siria all’Iran fino al Libano. Ieri, dopo un’azione a sud di Damasco per bloccare un attacco organizzato dalle Quds Force iraniane dal Goland, un paio di droni israeliani sono esplosi a sud di Beirut davanti alla sede del media-center di Hezbollah. Il leader del gruppo, Hassan Nasrallah, aveva replicato all’azione israeliana con un discorso duro, profondo, programmatico, in cui annunciava reazioni e avvisava che ogni velivolo israeliano che avesse sorvolato il confine sarebbe stato considerato un ostile.

Gerusalemme non ha fatto passare troppo tempo per colpire le postazioni del PFLP, un messaggio indirizzato direttamente a Nasrallah. Il leader del Partito di Dio libanese messo davanti alla contingenza dell’inabilità tecnica. Gli israeliani dispongono di mezzi superiori, possono colpire senza essere intercettati attraverso gli F-35 – con cui tempo fa hanno sorvolato senza essere visti Beirut (diffondendo poi pubblicamente le foto) e Teheran (facendo sapere alla Repubblica islamica di aver raccolto informazioni su tutti gli obiettivi necessari), e probabilmente colpito in Iraq.

Oggi Israele ha interrotto metà delle forniture di carburante in rappresaglia per un attacco terroristico subito ieri sera a Sderot, città prossima alla Striscia di Gaza, da dove sono stati lanciati tre razzi contro un concerto – due intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, un altro ha prodotto dozzine di feriti. Il fronte è ampissimo. Lo stato ebraico è diventato l’arena di sfogo di una crisi che passa dai tavoli di negoziazione per salvare l’accordo sul nucleare e finora è sfociata nel Golfo Persico, tra le acque che segnano delicatissime rotte petrolifere.

E lo Stato ebraico risponde attaccando per primo. Una sorta di mossa di anticipo, con cui Israele cerca di evitare un nuovo conflitto, che sarebbe molto complesso perché sebbene potrebbe essere (ri)aperto con gruppi come Hezbollah (l’ultima guerra è in tregua non definitiva dal 2006), per Gerusalemme sarebbe uno scontro diretto con l’Iran, e lo stesso per una parte di leadership a Teheran. Ieri il leader delle Quds Force iraniane, Qassem Soleimani, ha scritto su Twitter che “queste insane azioni israeliane saranno la fine del regime sionista”.

(Foto: Flickr, US Embassy Jerusalem, un F-35 israeliano)

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