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Governance globale, dossier spinosi, stabilità mondiale: dal G7 escono spiragli, contro una narrazione che descrive il formato in crisi, un tutti contro uno (Trump), caos e instabilità. Ci sono diverse questioni che segnano qualcosa di simile all’opposto, un allineamento di pianeti verso una traiettoria di pace: per esempio il lancio di un’iniziativa di pace per l’Ucraina, annunciata nelle dichiarazioni conclusive per le prossime settimane, quando a settembre si riunirà il Formato Normandia (Francia, Germania, Russia e Ucraina).

E la Russia, ancora esclusa dalla riunione delle grandi è un tema: “La Russia è una potenza. È meglio averla dentro la stanza che fuori”, dice Donald Trump durante la conferenza conclusiva. Non sarà popolare, aggiunge, ma ricostruire il G8 “sarebbe meglio per la sicurezza e la tenuta economica del mondo”. È una linea nota per l’attuale Casa Bianca – tenere il contatto con Mosca per evitare che un isolamento si trasformi nello scarrellare russo verso la Cina. Ed argomento aperto dallo stesso Emmanuel Macron, che ha voluto vedere l’omologo Vladimir Putin proprio nei giorni prima del vertice. Qualcosa si muove, e se si pensa che il motivo per cui il formato è tornato “a sette” è l’annessione illegittima della Crimea e la guerra nel Donbass, l’iniziativa di pace per l’Ucraina ha un valore molto più ampio. Totale.

L’Iran è un altro argomento. La visita del capo della diplomazia di Teheran è stata una mossa macroniana accettata da Trump, in mezzo alle tensioni tra Usa e Iran – o meglio tra Occidente e Repubblica islamica. Anche in questo caso, l’isolamento è l’aspetto da evitare, perché (di nuovo) la Cina è pronta ad accogliere le istanze iraniane – ieri il ministro degli Esteri del paese islamico è ripartito da Biarritz in direzione Pechino, incontro previsto non a caso nei giorni del G7, con l’agenda fatta saltare proprio dal vertice.

E ancora, Trump è tornato a ribadire la volontà di incontrare l’omologo iraniano Hassan Rouhani, se dovessero crearsi le “giuste circostanze”; con un ammonimento: “Nel frattempo devono giocare bene le loro carte e non possono fare ciò che hanno detto di voler fare, altrimenti ci sarà una reazione piuttosto violenta, quindi credo faranno i bravi”. E ancora, parlando di fianco a Macron e smentendo le ricostruzioni teatrali sugli Usa infuriati per l’invito a Zarif – ne ero a conoscenza, ma non “sarebbe stato appropriato” vederlo, dice Trump – aggiunge: “l’Iran è un Paese dal potenziale enorme. Non stiamo cercando un regime change”.

È una delle frasi che al governo iraniano piace sentirsi dire. Stabilizzatrice. “Non c’è dubbio che tra Iran e Ucraina vedo un Trump piuttosto impegnato per portare al G7 del 2020, o forse al G8 a quel punto, e comunque consegnare alle prossime presidenziali un quadro globale pacificato”, ci dice una fonte diplomatica piuttosto informata che sorride e aggiunge: “Da Nobel!”. Una boutade, forse, ma Trump stesso – a dispetto delle anticipazioni sulle tensioni tra partner, e senza dimenticare le distanze su diverse questioni – aggiunge: “Il G7 è stato un grande successo, c’è stata una grande unità. Talvolta dei racconti dei giornalisti sono stati un po’ fuorvianti. È stata davvero una riunione molto buona fra noi sette Paesi, dunque vorrei ringraziare quel Paese formidabile che è la Francia [per averla ospitata]”.

E Macron esce iperattivo e rafforzato da questo passaggio soprattutto per la ritrovata sponda con Washington. Con la Germania in rallentamento, il Regno Unito in mezzo a decisioni fondamentali e l’Italia bloccata, Parigi fa da guida e non solo ospitante. Il capo dell’Eliseo ha anche promosso un documento unanime per risolvere la crisi africana concordato tra i sette grandi e Sudafrica, Egitto, Burkina Faso e Senegal per la Libia: “Cessate il fuoco, soluzione politica, conferenza interlibica e road map con coinvolgimento di tutte le parti coinvolte nel conflitto della regione”, è quello previsto.

Poi il commercio, argomento che non poteva mancare visto il peso che l’attuale Casa Bianca dà al tema sull’interezza delle relazioni internazionali. “Il G7 è impegnato per un commercio mondiale aperto e giusto” e punta “alla stabilità dell’economia mondiale”, per questo intende cambiare “profondamente” il Wto e si impegna a trovare un accordo entro il 2020 per riformare la fiscalità internazionale nel quadro dell’Ocse. Posizioni che allineano tutti i paesi sulla necessità di rivedere le regole generali del mercato globale, come vogliono fin dai tempi della campagna elettorale i teorici che hanno costruito il pensiero trumpiano. L’occhio e l’orecchio, di nuovo rivolti, anche in questo caso, alla Cina, a cui la dichiarazione conclusiva del vertice chiede di evitare le violenze a Hong Kong.

Ucraina, Iran, Hong Kong, Libia e dazi. Per Trump un G7 a prova di Nobel

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