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È stato ripubblicato il libro di Piero Buscaroli, La vista, l’udito, la memoria (Bietti, pp.600, € 27,00) nel quale il grande giornalista fornisce, attraverso la rivisitazione di figure e opere, una sorta di “canone europeo”. Un volume intenso che testimonia la poliedrica vitalità intellettuale di Buscaroli – storico, musicologo, studioso di arte antica e moderna, giornalista raffinatissimo – la cui piacevole lettura è, tra tante qualità, un antidoto alla sciatteria culturale che si spesso si riscontra nelle opere contemporanee. Al denso e complesso testo Gennaro Malgieri vi ha premesso un articolato saggio introduttivo del quale pubblichiamo le prime pagine.

C’è la nostalgia di una grandezza europea perduta nelle pagine del volume L’udito, la vista, la memoria di Piero Buscaroli che sfoglio tremante di commozione, trentadue anni dopo la prima edizione, pubblicata dall’editore Fògola di Torino. È una sensazione che in verità avverto prepotentemente, ed alla quale, non senza disagio interiore, non riesco a sottrarmi tutte le volte che m’imbatto casualmente o rileggendo di proposito uno qualsiasi dei suoi scritti. E mi ritorna, al tempo stesso, un pensiero, ormai divenuto quasi “antico”, suggeritomi dalla lunga frequentazione ideale ed intellettuale con lui, che si dilata oggi con la forza di una insopprimibile sensazione: non si può conoscere la vena aurea che attraversa l’Europa prescindendo, o addirittura ignorando, la profondità della sua cultura per come Buscaroli, tra musica, arte e storia delle idee, non meno che con l’apporto narrativo delle vicende che si sono succedute in oltre due millenni, l’ha proposta seguendo una vasta riflessione che lo impegnato per tutta l’esistenza.

buscaroli copertinaAlla “vena aurea” che aveva “scoperto” fin da ragazzo, seguendo dapprima gli insegnamenti di suo padre Corso Buscaroli, tra i più grandi antichisti del Novecento, in particolare latinista insigne, e poi quelli dei “venerabili maestri” dai quali trasse le formule che lo avrebbero portato alla rivelazione della natura europea, per quanto nel tempo imbarbarita tanto da rappresentarsi come un “paesaggio con rovine”, Buscaroli si sarebbe tenuto legato fino ad immaginarsi come un “sopravvissuto” nel tempo dello sconforto da cittadino di una “nazione in coma”. Sopravvissuto che a quella nostalgia, mai peraltro volgarmente fatta filtrare, ha conferito un sorta di chiave di lettura del suo essere nel tempo e fuori dal tempo, come un “anarca” jüngeriano, da null’altro attratto se non dalla visione di un passato a cui tenersi avvinto nel “passaggio al bosco” per non incorrere nella corruzione dello spirito in agguato. E la musica, in particolare, ha indirizzato Buscaroli verso sentieri sui quali l’incontro con quella certa idea dell’Europa – nata nel Mediterraneo ellenico, inveratasi nella realtà giuridica e politica e imperiale romana, dilagata, persino nell’immensa area nordico-germanica grazie dalla violenza iconoclasta e rigeneratrice di popoli giovani precipitati dal destino e dall’ansia conquistatrice davanti ai resti della potenza dissipata dell’antico mondo senza più Dèi ed ormai infiacchito nella volontà, privo idee – la si rinviene come costante riferimento, o meglio traccia sublime, implicitamente o esplicitamente evocata, nelle profondità delle “forme” studiate, non diversamente da un Gottfried Benn o da un Oswald Spengler che dallo spirito della musica e della poesia e dell’arte misurarono la dimensione della civiltà europea, della Kultur, e ne compresero di conseguenza la tragedia – la Zivilisation – che, a ridosso della prima guerra civile continentale, sarebbe stata sconvolta da un processo di decadenza a lungo preparato, almeno a partire dalla decretazione della fine dello jus publicum europaeum. Una fine coincidente con la nascita dei particolarismi dinastici e familistici, deturpatori della stessa idea di Stato, in conflitto tra di loro, a cui cercò in qualche modo di opporsi l’imperalismo napoleonico, non esente tuttavia da elementi corruttivi dell’unità europea, nel tentativo di ricomporre le membra di un aggregato culturale e politico in grado di reggere le sfide che si profilavano già all’orizzonte fin da quando l’allargamento globale dei confini stabiliti dopo la pace di Westfalia (1648) contraddisse lo spirito del trattato stesso che metteva fine alle guerre dei trent0anni e degli ottant’anni originando altre più pericolose tensioni che culminarono negli esiti della prima guerra mondiale e sarebbero stati devastanti per l’Occidente decretandone poi la fine con la sostanziale, ancorché non formale, cancellazione politica dell’Europa ventisette anni più tardi.

Ecco dove nasce quel sentimento di grandezza, capace di suscitare nostalgia e rimpianto, che uno degli intellettuali europei maggiormente impregnato dell’essenza del “mondo di ieri”, come Piero Buscaroli, ha “interiorizzato” a tal punto da convivere con esso, senza abbandonarsi tuttavia al passatismo folcloristico, ma ridestando con la sua opera l’essenza di un sentire che andato rarefacendosi, purtroppo, fino a sbiadire completamente avanzando lo sradicamento culturale e identitario nell’Occidente smarrito e sempre più indifferente al proprio destino.

Nei suoi ritratti di scrittori, artisti, musicisti, politici, poeti, avventurieri dello spirito e dominatori delle masse – “sezionati” con cura entomologica in alcuni dei suoi libri migliori: L’udito, la vista, la memoria, I luoghi e il tempo, Figure e figuri, Paesaggio con rovine – Buscaroli ha tentato di rivitalizzare, attraverso lo studio “matto e disperatissimo”, con l’intelligenza interpretativa appresa dai suoi maggiori, con l’immersione curiosa nelle dimensioni sovrumane di autentici giganti dello spirito e del pensiero quali figurano soprattutto nelle pagine di questo libro, l’esemplarità di un universo che nonostante tutto riesce a sopravvivere, sia pure nascosto, come quegli Dèi ritratti dai pittori rinascimentali, al di là e al di sopra della contingenze.

Ma l’esercitazione è tutt’altro che retorica o sterilmente contemplativa, come a qualche sprovveduto potrebbe apparire. Essa finisce per coinvolgere carnalmente, oltre che spiritualmente, Buscaroli al punto da spingerlo sul limitare della propria esistenza a trascrivere in due volumi, talmente pregnanti e suggestivi e coinvolgenti da meritare di essere letti e riletti, meditati come breviari raccolti attorno alla sospensione di un tormento nel bel mezzo di una bufera: il declino della nazione italiana connesso a quello dell’Europa originato dalla insanabile lotta tra “borgognoni ed armagnacchi”, come diceva Paul Valéry, che ha finito per travolgere una intera civiltà. Dalla parte di vinti e Una nazione in coma – lascito estremo di Buscaroli – è condensata la sua “rivolta ideale” che, alla stessa stregua di quel che capitò ad Alfredo Oriani, non è mai riuscita a divenire “lotta politica” se non nel velleitario tentativo dei superstiti dell’ultima “epopea nazionale”, come amava dire, della quale lui si sentiva partecipe.

Il primo ripercorre le vie della “caduta”, della trasformazione dell’Italia e del mondo a cui la nostra nazione apparteneva in una sorta di terra di nessuno, popolata da fantasmi che tentano malamente di mostrare una parvenza di vitalità. Il secondo ne è il prosieguo, più memorialistico, se possibile. In entrambi, con la sua prosa scintillante e seducente, aspra e coinvolgente Buscaroli, tra il 2010 e il 2013 ha messo definitivamente il punto sulla vicenda che l’ha segnato: la dissoluzione dell’Italia. E lo ha fatto al fine di offrire un quadro veritiero, per quanto livido (ma non è colpa sua) di quella decadenza nazionale che fin da giovanissimo vide manifestarsi ed avanzare in maniera inesorabile. Lo ha fatto con il piglio di un militante dello “spirito della nazione” traendo dalle lezioni della storia recente e meno recente la convinzione che all’agonia di un popolo, quando si manifesta, ci si può opporre soltanto se si hanno le qualità morali per suscitare una reazione adeguata allo scopo, diversamente è meglio lasciar perdere.

Che l’Italia sia Una nazione in coma non c’è dubbio. Buscaroli, pur essendosene fatta una ragione, non si è, fino all’ultimo respiro, privato del dolore di raccontare come e perché si sia impaludata al punto di scomparire moralmente, culturalmente, politicamente. Diventare cioè irrilevante. Il suo è stato un lento suicidio che certo non è incominciato nel 1945, ma da allora ha indiscutibilmente subito un’accelerazione che nessuno ha potuto arrestare. Anzi, in tanti, con un attivismo degno di miglior causa, si sono prodigati per affrettare la fine di una comunità nazionale che pure aveva dato nei secoli prove di inimitabili espressioni di grandezza, alle quali Buscaroli, come estrema vendetta contro le meschinità del presente, ha rivolto le sue cure più sollecite non mancando nessuna occasione per difendere, giustificare o soltanto un passato che costituisce l’essenza dell’anima italiana e, di riflesso, di quella europea.

Piero Buscaroli sulle tracce della smarrita grandezza europea

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