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Il neopresidente ucraino, Volodymyr Zelenskiy, ieri ha deriso l’offerta con cui Mosca ha proposto di dare passaporti russi ai residenti in Ucraina, dicendo che quei documenti avrebbero fornito “il diritto di essere arrestati”. In un post su Facebook ha rilanciato l’idea di Vladimir Putin, dicendo che sarebbe stato lui ad aiutare i russi “sofferenti” offrendogli cittadinanza ucraina.

Un passo indietro necessario per il contesto: all’inizio della settimana, il Cremlino aveva approvato un decreto per concedere la cittadinanza russa a tutti i cittadini delle province separatiste del Donbas, l’area dell’Ucraina orientale dove dal 2014 i gruppi separatisti – con la sponda della Russia – hanno cercato di seguire la scia dell’annessione crimeana, hanno iniziato la guerra contro il governo centrale e poi autoproclamato due province, Donetsk e Lugansk, come repubbliche indipendenti nell’orbita di Mosca.

Il giorno dopo l’approvazione del decreto, Putin aveva fatto sapere che forse l’offerta dei passaporti russi poteva essere estesa a tutta l’Ucraina, fornendo procedure semplificate per ottenere i documenti a qualunque cittadino ucraino si fosse sentito di voler diventare un russo. Una mossa con cui Mosca cercava di sfruttare la russofonia e i legami culturali per interferire, di nuovo, nelle dinamiche ucraine. E che forse avrebbe trovato sponda nel neoeletto presidente (russofono).

La risposta di Zelenskiy conferma che la narrazione riguardo alle sue pendenze verso Mosca è quanto meno incompleta.

“Gli ucraini sono persone libere in un paese libero”, ha scritto nel post (sia in russo che in ucraino). Poi ha aggiunto che Kiev è pronta ad accogliere con la cittadinanza “tutte le persone che soffrono di regimi autoritari e corrotti”, in primo luogo “il popolo russo che soffre più di tutti”. Zelenskiy ha contrattaccato in modo satirico alla proposta di Putin, dicendo che il passaporto russo avrebbe offerto ai suoi concittadini “il diritto di essere arrestati per una protesta pacifica” e “il diritto di non avere elezioni libere e competitive”.

La questione che riguarda la democrazia e il suo funzionamento è stata un argomento con cui Kiev ha difeso le elezioni, e la vittoria di Zelenskiy, un ex comico senza la minima esperienza politica che ha portato avanti una piattaforma populista molto funzionale anche in Ucraina. Una nostra fonte ben informata sulle dinamiche interne del paese, commentando a caldo i risultati elettorali, ci faceva notare che, nonostante al momento la nuova presidenza sia abbastanza indecifrabile, sarà difficile che il neoeletto abbandoni completamente la linea fin qui tenuta con la Russia.

E infatti, nel post su Facebook, abbandonando i toni più sarcastici, ha chiesto una “completa de-occupazione” dell’Ucraina orientale e della Crimea sottolineando che il suo paese “non si arrende” con Mosca e richiede questo genere di “normalizzazione” prima di intraprendere altri passi.

Precisazione importante, perché Zelenskiy, durante la campagna elettorale, s’era detto pronto a negoziare con Putin per mettere fine alla guerra; una posizione che in modo sfumato ha sottolineato anche ieri: “Spero che la Russia sia più incline a parlare che a sparare”, ha scritto. La linea dialogante è quella auspicata nei giorni scorsi anche dal rappresentante speciale della Casa Bianca per la crisi ucraina, Kurt Volker.

“Per Russia e Ucraina è necessario avere discussioni dirette, e quindi penso che il desiderio di Zelensky di parlare con Putin sia qualcosa di buono e non di negativo”, aveva dichiarato Volker qualche giorno fa, prima della provocazione del russo e della risposta ucraina. La richiesta di dare nuovi impulsi al processo di Minsk, il protocollo per il de-conflicting rimasto ancora fermo a quattro anni fa, mai implementato dalla Russia, è recentemente stata avanzata anche dal Bundestag (la Germania, con la Francia, fa parte del sistema negoziale chiamato Formato Normandia).

Questa settimana c’è stato anche un altro episodio che ha fatto segnare un punto a sfavore del dialogo e più su una traiettoria classica: il parlamento ucraino ha approvato una legge con cui rendere obbligatorio l’uso della lingua ucraina per i lavoratori del settore pubblico. Secondo Mosca è una forma di “discriminazione” e russofobia.

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