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L’ultima volta che Parigi ha richiamato il suo ambasciatore a Roma è stato nel 1940, quando il Regno d’Italia entrò in guerra contro la Francia, consegnando la dichiarazione all’allora capo delegazione André François-Poncet. Il fatto torna a ripetersi oggi nell’anno del signore 2019, scrivendo una pagina nuova non solo nelle relazioni tra i due Paesi ma anche in quella dell’intera Unione Europea.

Non vogliamo qui usare giri di parole o affermazioni “cerchiobottiste”: per questo diciamo con chiarezza che quella di oggi è una cattiva notizia, anzi pessima.
Lo è perché segna il punto più basso delle relazioni tra Italia e Francia del dopoguerra, lo è perché abbiamo tutti più da perdere che da guadagnare (francesi compresi), lo è perché propone un’altra tappa nel processo di disgregazione europea di cui non si sentiva il bisogno.

La maggioranza gialloverde che comanda in Italia non ha lesinato critiche al presidente Macron e al governo francese. L’ha fatto con toni spesso irriguardosi e fuori dai canoni del bon ton abitualmente in uso tra membri dell’establishment. Anzi i nostri hanno fatto di più, molto di più (Salvini e Di Maio in particolare): hanno fatto delle critiche ai cugini d’Oltralpe un punto distintivo della propria azione politica.

Lo si è visto benissimo in materia d’immigrazione, con le pesantissime parole rivolte alla Francia per l’atteggiamento al confine di Ventimiglia e lo si è visto nelle ultime ore con la provocatoria visita a Parigi delle coppia Di Maio & Di Battista per incontrare alcuni dei leader dei gilet jaunes (cioè i peggiori nemici di Macron). Tutto questo non poteva restare senza conseguenze, soprattutto con un Presidente francese in grave crisi di consenso che ha quindi motivo di tentare il recupero anche attraverso una certa aggressività verso l’Italia.

Conviene all’Italia questa crisi internazionale? La risposta è no. Basti pensare al collocamento di titoli del debito pubblico o alla conclusione dell’affare Fincantieri-Stx.
Però anche la Francia ha molto da farsi perdonare. La sua condotta in materia d’immigrazione è infatti assai discutibile (soprattutto negli ultimi anni, anche se occorre ricordare che Oltralpe ci sono più immigrati che da noi), la sua sfrontatezza in nord Africa (Libia in particolare) è semplicemente inaccettabile ed offensiva del corretto rapporto tra partner europei, la sua pretesa di un ruolo “speciale” su ogni argomento è francamente opinabile (in materia di deficit Parigi ha fatto di tutto e anche di più, alla faccia dei vincoli Ue).

Ma d’altronde la vicenda Tav è una efficace sintesi dello stato delle cose: le incomprensioni e i dissensi crescono di giorno in giorno.
Ci vorrebbe un’Europa capace di comporre in modo virtuoso i dissensi, ma oggi come oggi Bruxelles non è in grado di svolgere questo ruolo (e ancor meno lo sarà dopo le elezioni di maggio).

All’Italia però (ed ai suoi governanti) un punto deve essere chiaro: se pensiamo di fare da soli (o al massimo con Putin) siamo destinati a farci male. Anzi malissimo. Così stiamo facendo sul Venezuela e i danni sono già visibili.

 

La Francia ha molti torti, ma da soli non andremo lontano

L’ultima volta che Parigi ha richiamato il suo ambasciatore a Roma è stato nel 1940, quando il Regno d’Italia entrò in guerra contro la Francia, consegnando la dichiarazione all’allora capo delegazione André François-Poncet. Il fatto torna a ripetersi oggi nell’anno del signore 2019, scrivendo una pagina nuova non solo nelle relazioni tra i due Paesi ma anche in quella dell’intera Unione…

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