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Il Papa ha risposto a Nicolás Maduro, il presidente del Venezuela che all’inizio di febbraio aveva inviato una lettera a Francesco chiedendogli di mediare nella crisi interna che ha portato gli Stati Uniti, gran parte dell’America latina e l’Unione europea a riconoscere come presidente ad interim il suo oppositore, Juan Guaidó. La risposta di Jorge Mario Bergoglio, però, non è quella che il caudillo si attendeva. Intanto perché, come riportato oggi dal Corriere della Sera, il Papa definisce Maduro “señor” e mai “presidente”. In secondo luogo perché nero su bianco si elencano i precedenti fallimentari tentativi di inserirsi nella controversia per facilitare un’intesa tra le parti dovuti per lo più agli atteggiamenti del governo. “Purtroppo, tutti (i tentativi, ndr) si sono interrotti perché quanto era stato concordato nelle riunioni non è stato seguito da gesti concreti per realizzare gli accordi. E le parole sembravano delegittimare i buoni propositi che erano stati messi per iscritto”.

La parafrasi del concetto risulta chiara: Maduro ha tentato più volte di “usare” il Papa per prendere tempo. Cosa che peraltro aveva già sottolineato una settimana fa, intervistato dalla radio argentina Continental, il cardinale Baltazar Porras, arcivescovo di Merida e amministratore apostolico di Caracas. Ne è poi una prova la recente conferenza stampa in cui Maduro, davanti ai corrispondenti della stampa estera, quasi provocando si appellava al “vero spirito cristiano del Papa” perché il popolo venezuelano non finisca come “i trentamila desaparecidos argentini”. Francesco, nella lettera lunga due pagine, spiega altresì di essere stato sempre a favore di un dialogo, ma “non di qualunque dialogo, però. Di quello che si intavola quando le differenti parti in conflitto mettono il bene comune al di sopra di qualunque altro interesse e lavorano per l’unità e la pace”. Il testo recapitato a Caracas ricorda che la mediazione sarebbe partita a condizione che fosse soddisfatta “una serie di richieste” la Santa Sede “considerava indispensabili affinché il dialogo si sviluppasse in maniera proficua”; condizioni che nel frattempo sono aumentate “come conseguenza dell’evoluzione della situazione”.

Nota Massimo Franco che comunque le parole del Papa sono ancora molto caute, quasi a rimarcare la volontà “di mantenere una posizione mediana tra Stati Uniti ed Europa, favorevoli al riconoscimento del capo dell’Assemblea legislativa, Juan Guaidó, come legittimo presidente ad interim, e Cina, Russia, Turchia e Iran che invece puntellano il traballante regime di Maduro”. È la “neutralità positiva” di cui ha parlato la scorsa settimana il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, quando ha ribadito che Roma interverrà nella crisi solo se entrambe le parti lo chiederanno. In maniera seria, non come fatto dal caudillo chavista. “L’atteggiamento della Santa Sede – ha detto Parolin – è quello di una neutralità positiva, non è l’atteggiamento di chi si mette alla finestra a guardare che cosa succede quasi indifferente. È l’atteggiamento di chi cerca di essere sopra le parti per superare la conflittualità”. Una posizione che però, nonostante le smentite di rito, appare diversa da quelle dell’episcopato locale, che fin dall’inizio di gennaio ha definito “illegittimo” Maduro e ha appoggiato ogni manifestazione pubblica delle opposizioni contro l’erede di Hugo Chávez. “Maduro se ne deve andare”, ha detto il cardinale Jorge Urosa Savino, fino alla scorsa estate arcivescovo di Caracas. Guaidó, da parte sua, nonostante abbia inviato alcuni rappresentanti in Vaticano, si è sempre appellato più genericamente a tutti gli attori della diplomazia internazionale che possano dare una mano a risolvere la crisi; attori tra i quali rientra naturalmente il Santo Padre. Nessun appello diretto, però. Almeno finora.

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