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Italia fra gli ultimi posti in Europa per antimicrobico resistenza. È questa la conclusione dell’incontro “Contro la resistenza antimicrobica: la sfida globale” tenuto da Farmindustria questa mattina, quando l’associazione delle imprese del farmaco ha incontrato i media per parlare di uno dei problemi più grandi cui va incontro la sanità globale, facendo un punto sulla situazione attuale, sulla previsioni future e, in particolar modo, sulle misure da attuare per generare un’inversione di tendenza.

“Si tratta di numeri che esploderanno. Nel 2050 l’antibiotico resistenza avrà gli stessi effetti del cancro”, ha allarmato Massimo Visentin, presidente del gruppo prevenzione Farmindustria. “Si stima – ha proseguito – che tra il 2015 e il 2050, circa 2,4 milioni di persone morirà a causa dell’antibiotico resistenza. Ma già oggi, in Italia, 10.750 persone muoiono ogni anno a causa di un’infezione causata da uno degli otto batteri antibiotico resitenti”, ha aggiunto.

L’Italia, infatti, è fanalino di coda per le performance di antimicrobico resistenza, accompagnata da Romania, Spagna e Turchia. E le conseguenze di questo terribile primato non sono da valutarsi solo sul campo della salute in senso stretto, ma anche sul drammatico impatto economico che, come ha suggerito il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi citando gli ultimi dati della Banca Mondiale “potrebbe avere nel 2050 ripercussioni più pesanti della crisi finanziaria 2008-2009”. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, i costi generati dalle complicanze derivate dalla resistenza antimicrobica nei 33 Paesi Ocse è pari a 3,5 miliardi di dollari l’anno, mentre sarebbe possibile risparmiare oltre 4,8 miliardi l’anno investendo in politiche preventive globali.

Per capire come intervenire, però, è necessario comprendere le cause di questo trend negativo. “Una delle caratteristiche dell’antimicrobico resistenza – ha spiegato Ranieri Guerra, assistant director-general strategic initiatives della World health organizaton – è che la parte umana è vittima di quanto avviene negli animali e nella filiera alimentare”. In Italia, infatti, il consumo di antibiotici negli umani risulta in linea con i dati degli altri Paesi. Non è così, però, per quanto riguarda l’utilizzo “indiscriminato”, come lo ha definito Ranieri, “degli antibiotici per la crescita degli animali da carne”, per cui Italia, Cipro e Spagna più che raddoppiano le cifre degli altri Paesi europei.

Ma cosa è stato fatto e cosa è possibile fare per attutire le conseguenze drammatiche dell’antibiotico resistenza e, se possibile, innescare un cambio di rotta? L’impegno delle imprese del farmaco, ad oggi, è ampio, e va dalla Dichiarazione per sollecitare i governi verso un impegno maggiore per contrastare l’Amc alla Dichiarazione di Davos, fino all’Amr Industry Alliance – firmata da oltre 100 membri fra industrie farmaceutiche, biotecnologiche e diagnostiche – volta proprio a garantire il rispetto degli impegni presi nella Dichiarazione di Davos.

Altrettanto importante, però, può risultare un uso più appropriato e consapevole degli antibiotici, sempre più spesso adoperati indebitamente. Fondamentale in questo senso risulta una maggiore e migliore comunicazione verso il pubblico. Ma anche “la diagnostica rapida – ha aggiunto Guerra – può aiutare molto in tal senso”. Una diagnostica che in venti minuti sia in grado di indicare la necessità o meno dell’antibiotico, infatti, sarebbe ”uno strumento di difesa particolarmente potente”. Purtroppo, però, “in Italia non siamo assolutamente arrivati dove vorremmo essere”, ha precisato Massimo Visentin.

La ricerca, però, e la prevenzione, risultano come sempre gli strumenti più importanti da adottare in campo sanitario. “Il dialogo continuo con gli stakeholder per trovare nuove soluzioni a partire dalla ricerca” risulta di fondamentale importanza, ha sostenuto Scaccabarozzi. Tra le linee-guida condivise da Farmindustria, infatti, vi sono la “prevenzione delle infezioni e della diffusione delle resistenze”, con particolare riferimento ai vaccini, che “possono ridurre l’antibiotico-resistenza, in maniera diretta e indiretta”, ma anche “realizzare una campagna di comunicazione per sensibilizzare operatori sanitari e popolazione sull’importanza della vaccinazione” e una maggiore attenzione a “ricerca e sviluppo di nuovi antimicrobici”, supportando “la ricerca collaborativa pubblico-privato”.

resistenza antimicrobica farmaco

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