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I rapporti tra Washington e Londra vivono una fase di tensione, il caso-Darroch si infiamma. Dopo che domenica erano stati pubblicati dal Mail on Sunday dei leak in cui l’ambasciatore inglese negli Stati Uniti forniva dei giudizi molto severi sul presidente Donald Trump – “Non riteniamo che questa amministrazione possa diventare sostanzialmente normale, meno disfunzionale, meno imprevedibile, meno faziosa, meno maldestra e inetta diplomaticamente” – la Casa Bianca ha reagito nervosamente.

IL BRACCIO DI FERRO DIPLOMATICO

Ieri a Sir Kim Darroch è stato revocato l’invito per partecipare alla cena di gala che al 1600 di Pennsylvania Avenue era stata organizzata in onore dell’emiro del Qatar (un appuntamento importante quello che porta oggi lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani a vedere Trump, perché Doha è protagonista di una rotta intra-Golfo che si ripercuote su dinamiche geopolitiche, business e sicurezza, che interessano anche all’Inghilterra).

È in corso un braccio di ferro diplomatico. Ieri pomeriggio Trump ha diffuso via Twitter un editto severo, ha accusato l’ambasciatore di “non aver fatto un buon lavoro per il suo Paese”, e poi s’è detto molto critico nei confronti di Theresa May, accusandola di aver creato “un casino” con la Brexit; Trump ha scritto di aver capito bene durante la sua visita di Stato del mese scorso che a Londra l’unica in gamba è la Regina. Trump attacca Downing Street perché il governo inglese ha preso una posizione compatta a favore del suo rappresentante negli Stati Uniti.

I PERCHÉ DELLA LINEA INGLESE 

Un editoriale sul Guardian di Lord Peter Ricketts, ex ambasciatore inglese a Parigi, spiega i contorni tecnici e politici della posizione inglese. Il punto, scrive Ricketts, non è il contenuto del leak, ma il fatto che sia trapelato. È questa la linea del governo britannico, che più che scusarsi per le parole dure usate dalla sua feluca si preoccupa di come mai siano arrivate alla stampa – aperta già un’inchiesta. Il diplomatico inglese, nella sua analisi pubblicata dal giornale di sinistra di Londra, dà tre aree di danneggiamento: primo, si rischia di passare con la reputazione di un Paese che non è in grado i mantenere nascosti i propri segreti; secondo, viene indebolito il sistema di trasmissione delle informazioni (che è alla base delle decisioni di uno stato); terzo, viene intaccata la fiducia con i dipendenti pubblici.

“La qualità delle decisioni in materia di politica estera verrebbe certamente a soffrire se gli ambasciatori censurassero i loro rapporti per timore che finiscano trapelati”, scrive nel suo op-ed. C’è poi da ricordare che questo è il secondo caso del genere, e Ricketts è preoccupato del “pattern”: a maggio toccò infatti al segretario alla Difesa, Gavin Williamson, rimetterci l’incarico dopo che un’inchiesta interna scoprì che fu lui, ad aprile, a passare a Steven Swinfor del Daily Telegraph informazioni freschissime su una delicata riunione a tema Huawei (altro argomento delicato tra Usa e Regno Unito, si dirà più avanti) tenuta nell’ambiente riservato dell’Agenzia nazionale della Sicurezza.

LO SCONTRO TRA CONSERVATORI

Londra affronta la questione come una bega interna, perché la tempistica è delicata. C’è la corsa per la leadership del partito conservatore, e dunque per il primo ministro, in questo momento, e il leak sembra un’arma politica usata per destabilizzare certe porzioni Tories a favore di altre. L’attacco alla Casa Bianca, e la reazione americana, mettono in discussione la nuova forma di Special Relationship di epoca trumpiana che si costruirà con sullo sfondo l’enorme tema Brexit. A Downing Street potrebbe arrivare Boris Johnson, il preferito di Trump (che gode anche di ottimi rapporti con il genero-in-chief, Jared Kushner: aspetto da non sottovalutare mai, il circolo del potere famigliare, quando ci si relaziona con il presidente Usa). E il leak potrebbe essere anche un proxy per spingere verso questa decisione: siamo nel campo delle speculazioni, ma la patata bollente delle relazioni future potrebbe gestirla meglio un Brexiters convinto come Johnson, uno apprezzato da Trump, piuttosto che una nuova-May.

LA CORSA A WASHINGTON

Il primo campo di prova passerà probabilmente dalla nomina del nuovo ambasciatore: si parla di Mark Sedwill, segretario di gabinetto di May, che però potrebbe non essere gradito a Washington. Non a questo punto, per di più. Gli apparati, soprattutto l’intelligence, ne sarebbero contenti, ma Trump si troverebbe certamente meglio con qualcuno come Nigel Farage: è fantapolitica magari (per ora), ma l’ex leader Ukip, simbolo dell’uscita dall’Ue, vanta un rapporto con Trump fin dal 2016 (visitò la Trump Tower di New York, centro nevralgico del trumpismo, già all’inizio della fase di transizione). A quei tempi s’era autopromosso come ambasciatore al posto di Darroch, per altro.

Qui non può sfuggire un passaggio da ricollegare in quel quadro di scontro intra-Tories: la giornalista che firma lo scoop del Mail, Isabel Oakeshott, è considerata piuttosto vicina a Farage e un tempo aveva rivestito ruoli nella comunicazione dei conservatori. E potrebbe essere un attacco per il posto da futuro ambasciatore da Trump. Da ricordare anche che fu proprio Sedwill a guidare l’inchiesta che tagliò la testa del segretario Williamson, in un altro caso che era andato a intaccare le relazioni con Washington: dalle informazioni uscite, Londra sembrava non troppo convinta della posizione presa dagli americani contro la Huawei, accusata di essere un problema per la sicurezza perché conduceva operazioni di spionaggio per il governo cinese. Gli inglesi erano scettici al punto di assegnare alla ditta cinese alcuni appalti “non-core“, non centrali, sul 5G. “Williamson sa dove sono sepolti i cadaveri”, disse un deputato anonimo a Politico in quei giorni: “E sa come aggiungerne anche altri”.

IL DOSSIER IRAN, INTANTO

C’è anche un’ipotesi alternativa: l’interferenza nell’affare di un attore statale, che avrebbe ottenuto in qualche modo i cablo diplomatici per poi passarli ai media. Non c’è niente di specifico, se non qualche dichiarazione anonima sui giornali inglesi, ma in questi casi il convitato di pietra è sempre uno: la Russia, che non è nuova nell’utilizzare situazioni delicate per interferire in processi interni di altri paesi. Intanto uno dei terreni di prova immediati per ricostruire le relazioni, o costruirne di nuove, potrebbe essere il dossier Iran. Tra le dichiarazioni rubate a Darroch c’è anche lo scetticismo dell’ambasciatore nei confronti della politica aggressiva, la massima pressione, che Washington sta conducendo contro Teheran. È una posizione condivisa dal governo di Londra, che ha lavorato per tenere in piedi l’accordo sul nucleare iraniano dopo l’uscita americana del maggio scorso. Ma la linea è stata in parte obliterata attraverso prove di amore concesse a Trump. La fiducia ufficialmente cieca sul coinvolgimento iraniano dietro ai sabotaggi delle petroliere davanti a Hormuz; l’assalto spettacolare contro una petroliera iraniana che stava portando petrolio in Siria al largo di Gibilterra, sono due esempi. E altre ne potrebbero arrivare per sistemare lo sgarbo Darroch, o per marcare una nuova linea trumpiana a Downing Street.

Le offese dell'ambasciatore mettono a rischio la liaison tra Trump e Londra?

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