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Il Parlamento europeo, alla fine di marzo di quest’anno, ha approvato la proposta della Commissione di vietare, a partire dal 2021, la commercializzazione di alcuni prodotti in plastica monouso come piatti, posate, cannucce, cotton-fioc. L’obiettivo è di ridurre l’inquinamento che questi rifiuti provocano negli oceani e nei mari. Secondo i legislatori di Bruxelles, grazie alle nuove norme (che, lo ricordiamo, dovranno ora essere approvate dal Consiglio europeo e poi essere recepite nelle legislazioni dei Paesi membri) si otterranno benefici economici e ambientali quali la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera di oltre 3 milioni di tonnellate; si eviteranno danni ambientali per 22 miliardi entro il 2030; verranno risparmiati dai consumatori oltre 6 miliardi di euro.

Ma cosa ne pensano le aziende di casa nostra e come impatteranno queste norme, se dovessero rimanere tali, nel tessuto produttivo del nostro Paese? La risposta è venuta da un incontro, promosso dall’Associazione FareAmbiente, che ha raccolto le opinioni di associazioni di categoria e consorzi, tra cui Uniomplast (Federazione Italiana Gomma Plastica), Corepla (Consorzio Nazionale per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica) e Confida (Associazione Italiana Distribuzione Automatica). Con l’entrata in vigore della nuova direttiva sulla plastica monouso, è stata la risposta unanime, rischiano la chiusura 30 aziende italiane della filiera della plastica che impiegano complessivamente a 3.000 lavoratori.

“La nuova normativa”, ha spiegato Vincenzo Pepe, presidente di FareAmbiente, inciderà solo in minima parte sul problema ambientale. Infatti il 90% della plastica presente negli oceani proviene da dieci fiumi extra europei, come segnalato dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite, mentre sono molto alti i rischi produttivi e occupazionali per le imprese italiane”. I produttori di articoli monouso in plastica sono praticamente tutti italiani e “rappresentano, comunque, come ha ricordato Marco Omboni, presidente della Federazione Gomma Plastica, soltanto lo 0,6% della plastica prodotta in Europa. Bandire la plastica monouso produrrebbe gravi danni imprenditoriali e occupazionali per le nostre imprese. Il problema della dispersione dei prodotti monouso nell’ambiente è un problema di educazione e la maleducazione non distingue tra un materiale e un altro. Occorre invece potenziare il riciclo, in cui l’Italia è virtuosa, e dare tempo alle imprese di sperimentare nuovi materiali anche attraverso incentivi fiscali”.

Un’errata applicazione delle norme europee rischia di mettere in crisi anche altri settori economici in cui l’Italia è leader in Europa, dalle acque minerali alla distribuzione automatica. Il primo comparto ha un giro d’affari di oltre 3 miliardi di euro, comprende 246 marchi e 126 aziende che imbottigliano ed esportano in oltre 100 Paesi nel mondo. Il secondo ha un fatturato anche esso di 3 miliardi di euro, circa 3000 aziende che occupano oltre 33 mila dipendenti. La campagna “Plastic free” ha spinto numerose amministrazioni locali, anche grazie al favore mediatico, a dar vita e norme che non sempre sono in accordo con quelle europee e che rischiano, a detta degli imprenditori del settore, di creare confusione per i cittadini e gli operatori commerciali.

“Non si comprendono”, ha sottolineato Paolo Arrigoni, senatore della Lega e membro della Commissione Ambiente del Senato, le fughe in avanti assunte da diversi soggetti istituzionali che volendo fare i primi della classe, ancor prima del recepimento della direttiva, adottano il “plastic free” mettendo alla gogna la plastica tradizionale. La Lega ha un atteggiamento pragmatico e non ideologico: siano per la tutela dell’ambiente, ma anche per la difesa di u n comparto importante dell’industria italiana che rappresenta il 40% della produzione europea, occupa 3 mila dipendenti e supera il miliardo di fatturato”.

plastiche, ecoforum, Legambiente

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