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Con un po’ di retorica si può dire che con l’arresto di Cesare Battisti ha vinto l’Italia. Se si va a rileggere la montagna di articoli e di polemiche degli ultimi anni, quelli della sua latitanza in Brasile, sembrava impossibile vedere in carcere in Italia l’ex leader dei Pac, i Proletari armati per il comunismo. Le protezioni delle istituzioni brasiliane sono state determinanti così com’è stata determinante la volontà del neopresidente, Jair Bolsonaro, di estradarlo prima e di collaborare alla sua individuazione in Bolivia poi, dopo la fuga.

Ha vinto l’Italia perché lo Stato non ha mai cessato di inseguirlo, di fare indagini, di chiederne l’estradizione. Tutti volevano vedere in carcere un residuato degli anni di piombo perché solo gli italiani sanno che cosa hanno significato nella storia della Repubblica, oltre ovviamente alle storie personali delle famiglie delle vittime di Battisti e dei suoi complici di allora. Nelle ore dell’euforia per l’arresto continuano a emergere dettagli finora riservatissimi su come l’Aise e l’antiterrorismo abbiano seguito le sue tracce, fino ad arrivare ai tre telefoni che Battisti pare usasse personalmente. Il direttore della Polizia di prevenzione, Lamberto Giannini, ha rivelato che era stato individuato da una settimana, ma che si è intervenuti solo dopo la certezza che fosse lui, aggiungendo che ora le indagini proseguiranno per individuare la rete che per forza di cose l’ha protetto. Fondamentale, ha detto, anche il ruolo della polizia boliviana.

Il coro di approvazione arriva da ogni parte politica, caso quasi unico, e consente di andare oltre la comprensibile soddisfazione di Bolsonaro e del suo amico Matteo Salvini, cui si aggiunge quella di Alfonso Bonafede che ha correttamente ricordato il lungo lavoro svolto dalle strutture del ministero della Giustizia da molti anni. Ecco perché ha vinto l’Italia: l’arresto di Battisti, per una volta, mette d’accordo tutti.

Un arresto che fa tornare in mente gli oltre 30 terroristi ancora latitanti che godono di protezioni o di coperture giuridiche come nel caso di Alvaro Lojacono, uno dei brigatisti del caso Moro oggi cittadino svizzero e la Svizzera non contempla l’estradizione dei propri cittadini, e dell’altro brigatista Alessio Casimirri, dal 1983 in Nicaragua e la cui estradizione fu sollecitata un paio di anni fa anche da Beppe Fioroni come presidente dell’ultima commissione Moro. Oggi, però, bisogna festeggiare senza divisioni di partito l’obiettivo raggiunto da uno Stato di diritto: un terrorista condannato all’ergastolo andrà finalmente in carcere.

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